Raccontatrekking 2003

23 Novembre 2003: Monte La Spina

Partiti da Castrovillari, piccola sosta al bivio autostradale di Mormanno, si aggiunge alla comitiva la nostra guida odierna Luigi Perrone. Causa lo sciopero con blocco stradale, per la discarica nucleare di Scanzano, i soci della Sezione di Lagonegro non hanno potuto essere della partita. Raggiungiamo l’uscita autostradale di Galdo di Lauria e da li a poco lasciamo le auto nei pressi di una casa privata in località Prestieri . La giornata è particolarmente serena, tipico clima autunnale. L’escursione inizia . Camminiamo su un soffice tappeto di foglie in un fitto bosco di faggi con un percorso che diventa man mano sempre più ripido . Arriviamo così ad una prima sosta, panoramica, su di un crestone roccioso . I primi commenti riguardano la bellezza e l’asperità del percorso, inimmaginabili all’inizio. Da qui in poi la salita si fa più erta. Raggiungiamo la cresta, da dove intravediamo i pini loricati di questa parte estrema del Parco . Percorrendola tutta scopriamo un panorama mozzafiato che spazia dal Monte Alpi, con ai suoi piedi il Lago di Cogliandrino, a Monte Cerviero con tutta la catena del Pollino. Il mare Tirreno, l’intera Valle del Mercure e il il Monte Sirino . Raggiungiamo la vetta e, nel commentare la scalata, emergono delle similitudini con un’altra vetta del nostro territorio, La Montea, altrettanto difficile ed aspra ma particolarmente spettacolare per il panorama . Foto ricordo . Consumiamo una fugace colazione al sacco, non priva di prelibatezze nostrane, e si scende. Il ritorno, anche se meno stancante, è ugualmente difficile per il dislivello che affrontiamo . Con calma, all’imbrunire, arriviamo a valle, nei pressi di una podere dove ci accoglie la padrona di casa che, pur meravigliandosi della nostra presenza e della nostra attività, ci rifocilla con acqua e altre bibite. Dopo averla ringraziata, la salutiamo cordialmente riprendendo la strada per il ritorno.

9 novembre 2003: Certosa di Padula e Grotte di Pertosa di Claudio Zicari

Una giornata di sole e di luce apriva la domenica di novembre che C.A.I. Castrovillari e Gruppo Archeologico del Pollino dedicavano alla Certosa di Padula e alle Grotte di Pertosa. Giunti a Padula e ancora accolti dall’aria fresca del mattino, l’allegra compagnia, lasciatasi forse trascinare dalla propria naturale indole dedita agli ampi spazi, si dirigeva in direzione opposta al monumento da visitare, fino a quando, avvedutasi di essere in aperta campagna, superava il momento di smarrimento e si rimetteva sulla retta via, che conduceva al bello e ampio atrio di ingresso della Certosa. Il Gruppo si distribuiva soavemente nell’ampio parco, per poi riunirsi per l’inizio della visita guidata, che prendeva le mosse dal primo chiostro, ove si apre la chiesa conventuale con preziosi battenti in legno intagliato del 1374 . Altari in scagliola con decorazioni di madreperla, un cinquecentesco coro intarsiato e i soliti indisciplinati che fanno le fotografie nonostante i continui richiami di custodi e guide . Si attraversa un altro chiostro e ci si immette nella cucina, uno degli ambienti più caratteristici con l’enorme cappa del camino, le maioliche variopinte e parte degli arredi costituiti da grandi lastroni di marmo, dove venivano distribuiti i cibi . Grande emozione provoca, poi, l’ingresso nel maestoso chiostro grande, uno dei più vasti d’Europa. Vi sono presenti tra l’altro delle opere di arte contemporanea (alti e scarni alberi neri), che suscitano sentite perplessità. Un bella fontana al centro viene aggredita e circondata per la rituale e micidiale foto di gruppo; i partecipanti si affastellano lungo i gradini e il fotografo viene riempito, ricoperto e circondato da macchine fotografiche; alla diciannovesima fotografia iniziano i primi segni di insofferenza e il gruppo comincia a smembrarsi e ad assottigliarsi; solo pochi e valorosi resisteranno fino all’ultima foto guadagnandosi la loro immortalità, distribuita su ogni possibile pellicola delle macchine fotografiche disponibili (foto 4 e 4a). La variegata compagnia riprende il suo percorso lungo il vasto porticato di pilastri che reggono ampie arcate e giunge fino al maestoso scalone, che chiude il grandioso edificio, costruito a forma di graticola in ricordo e celebrazione del martirio subìto da San Lorenzo. Nel corso della visita la guida ha anche spiegato cosa fosse uno strano e grosso marchingegno metallico, allocato nell’atrio della Certosa e che aveva subito attratto l’attenzione della gioviale compagnia di gitanti: esso altro non è che un grosso padellone chiuso, dotato di dispositivi meccanici, che consentono di porlo sul fuoco e di ruotarlo per potervi preparare, nella serata del giorno di San Lorenzo, un’immensa frittata di migliaia di uova, che vuole ricordare il passaggio da Padula nel 1535, di ritorno dalla gloriosa impresa di Tunisi, dell’imperatore Carlo V e la sua sosta alla Certosa, ove i monaci cucinarono per Lui e per il suo seguito una frittata, per l’appunto, di mille uova . Si lascia, quindi, Padula e si parte per le Grotte di Pertosa; prima di visitarle si fa la consueta colazioncina delle gite del C.A.I., in cui il momento di conforto non termina fino a che tutti non abbiano quantomeno assaggiato ogni cosa portata da ognuno; ampio, giusto e sacrosanto spazio, pertanto, viene concesso ai piaceri di palati esigenti e di ventri capienti. Dalle profondità della gola, quindi, la sazia compagine veniva condotta alle profondità della terra con grossi barconi, guidati da un arcigno timoniere che si prolungava nell’elenco di una serie di divieti, che sarebbero stati tutti variamente disattesi dagli irrequieti partecipanti. Lungo il tragitto in barcone si veniva colpiti dall’inquietante reperto cinematografico della “casa del fantasma”, che si apriva su una sponda del fiume sotterraneo. Tale scenografia era stata lasciata intatta in ricordo delle riprese di Dario Argento per la realizzazione del film “Il Fantasma dell’Opera”. Sbarcati nei pressi di una splendida cascata, si iniziava la visita delle grotte, scandita dai richiami, in accento campano, della guida-timoniere, che si accorgeva, con grande tempismo e precisione, di ogni inosservanza di regole e norme comportamentali. Si accarezzavano le stalagmiti (non lo si doveva fare perché saltavano milioni di anni di concrezioni), si facevano foto (non lo si doveva fare perché si compromettevano gli equilibri chimico-minerali), ma, quando la guida cominciava a dare le interpretazioni delle formazioni di stalattiti e stalagmiti, anche l’allegra compagnia si abbandonava, senza limiti e confini e senza alcun tipo di inibizione, a dare proprie libere interpretazioni alle robuste concrezioni stalagmitiche della galleria principale(foto 6 e 7). Si guadagnava, quindi, l’uscita e ci si recava piacevolmente a piedi al vicino Museo Integrato dell’Ambiente da cui, avuto un fugace incontro con qualche dinosauro , si riprendeva la via del ritorno.

26 Ottobre 2003: Papasidero - Grotta del Romito di Luigi Perrone

Ansiosi di iniziare l’escursione di oggi, uno dei nostri soci, insieme ad altri due nuovi amici di Cosenza, arriva all’appuntamento fissato per le 9.00 al bivio autostradale di Mormanno con circa 2 ore di anticipo; nel passaggio dall’ora solare a quella legale, ha spostato le lancette dell’orologio non indietro ma in avanti e quindi! L’itinerario di oggi ci fa fare un salto indietro nel tempo di circa 10.000 anni, ripercorre infatti l’antica via lungo il fiume Lao che servì per commercio ed altro tra il Tirreno e lo Ionio. Ritrovatici con tutto il gruppo (circa 20 persone) ci dirigiamo in auto alla volta di Papasidero dopo aver preso un caffè da una vecchia amica. Lasciamo un’auto di scorta nei pressi della Grotta in modo da riprendere le auto al rientro. L’escursione vera e propria inizia in tardi mattinata (se la prendono tutti con comodo, mangiando tarallini) dal centro di Papasidero, l’antica Scidro, piccolo e antico borgo che rientra nel massiccio dei Monti dell’Orsomarso nel Parco Nazionale del Pollino. Dopo una breve discesa ci appare, affascinante, il Santuario di S. Maria di Costantinopoli che risale al XVII secolo, anche se in questo periodo è sovrastato da una enorme impalcatura per via di opere di ristrutturazione. Passiamo sul ponte, di cui ammiriamo l’insolito arco, di uguale origine sul Fiume Lao e superato il Santuario, ci incamminiamo su un pendio verso la carrareccia e poi mulattiera, che ci conduce in zona “Massa”. Essa ci appare verde e lussureggiante con un piccolo gruppo di case con orti e terrazzi. Nonostante questa zona sia ormai completamente disabitata è ben evidente la mano antica dell’uomo con stradine lastricate di pietre e la distribuzione oculata dell’abbondante acqua tramite dei fossati. Passando tra muri a secco e ruderi di casolari arriviamo alla fonte dell’Afflitto che desta non poco stupore per la sua bellezza, e dove oltre a dissetarci inizia lo scatto continuo delle macchine fotografiche . Si prosegue osservando sotto di noi, a tratti, il Fiume Lao con la sua forza impetuosa ed il suo grosso respiro, tra una fittissima macchia mediterranea ricca di un intenso profumo di mirto, erica ,borragine, agrifoglio e leccio . La marcia è lenta e piacevole tanto da consentire, tra i presenti, dialoghi di vario genere. La mulattiera ha lasciato ormai il posto ad un sentiero che ci porta nel bosco di lecci con il suo tipico profumo, ma un'altra sorpresa ci attende: un altro corso d’acqua ha lavorato sapientemente una formazione tufacea creando delle piccole marmitte e cascatelle veramente stupende, che ammiriamo per lungo tempo . Dopo il lungo tratto di bosco, qualche socio comincia ad arrancare sia per la fatica sia per la fame… e comincia a chiedere il classico ” ma quanto manca ? ”. Finalmente usciamo dal bosco e attraversato un tratto d’arenaria dislavata dall’acqua, ci troviamo nella frazione di Campicello. Dopo un breve tratto d’asfalto, attraversando il ponte di legno costruito di recente, superiamo di nuovo il Fiume Lao alle pendici del M. Ciagola e raggiungiamo, attraverso il vecchio sentiero, la Grotta del Romito . Con gioia e soddisfazione i soci visitano il sito archeologico più famoso del Parco Nazionale del Pollino, la grotta con le stalattiti e stalagmiti, le sepolture, i numerosi reperti, ma l’attenzione cade soprattutto sull’incisione rupestre del bovide ovvero il graffito del Bos - Primigenius testimonianza dell’attività dell’uomo paleolitico che in questa area risale a 12.000 anni fa. Per ultima la visita al Museo, annesso all’area archeologica, dove ammiriamo e ripercorriamo tutte le tappe dei primitivi abitanti di questa parte di territorio.La giornata termina sotto un sole tiepido, attorno ad un grosso masso di pietra posto come tavolo , ad assaporare pietanze genuine della nostra terra portate dai nostri soci. Alla prossima.

12 Ottobre 2003: Cerchiara di Calabria. Parco della Cessuta – Santuario delle Madonna delle Armi

Una giornata splendida accoglie i partecipanti sul piazzale antistante il Santuario . Numerose sono le famiglie che ormai da tre anni partecipano molto volentieri all’incontro con gli operatori del Centro di Educazione Ambientale di Colle Marcione. Ma ancora più contenti sono i bambini consapevoli di trascorrere un giornata all’aria aperta ricca di nuove esperienze e di nuovi amici. Gli adulti dedicheranno la giornata all’ascensione del Monte Sellaro, spettacolare balcone panoramico su tutto il litorale ionico e sulla Valle del Raganello. I bambini, accompagnati da Antonello, attraverso giochi e indovinelli fanno le prime esperienze in ambiente andando alla scoperta di animali e piante . Gli adulti durante l’escursione ascoltano interessati, da parte di Silvio, racconti e leggende deipaesaggi del Pollino . Dopo aver svolto ognuno la propria attività, tutti insieme in visita al Santuario, alle sue bellezze architettoniche, alla scoperta della sua storia . Successivo trasferimento al ristorante “La Caldana”, presso la Piscina di acqua sulfurea di Cerchiara di Calabria, dove, dopo aver consumato un lauto pranzo e aver chiacchierato del più e del meno, si fa visita alla piscina con annessa spiegazione sulle sue origini e pecularietà. Subito dopo ci salutiamo dandoci appuntamento alla prossima escursione.

5 Ottobre 2003. Trenotrekking. Lungo la Lagonegro – Castrovillari da Laino Borgo a Pietragrossa

Le Sezioni del Club Alpino Italiano di Castrovillari e Salerno, con la partecipazione di numerosi amici dell’Associazione Ambientalista “Il Riccio” di Castrovillari, si sono ritrovati per effettuare un percorso a piedi su quel tratto di Ferrovia Calabro – Lucana che lambiva l’antico borgo di Laino Castello, il paese completamente abbandonato negli anni ottanta, che oggi rivive solingo tra i silenzi della ferrovia e lo spumeggiare delle limpide acque del fiume Lao . L’iniziativa, inserita nel programma nazionale del Club Alpino Italiano denominato TRENOTREKKING, è presente nella recente pubblicazione della casa editrice De Agostini dal titolo “ Greenways in Italia ”. Essa ha lo scopo di recuperare alla memoria e all’utilizzo escursionistico vecchi tracciati ferroviari che rappresentano una rete fittissima di potenziali “ strade verdi ”, itinerari all’aria aperta insoliti e affascinanti . Il percorso, che fa parte della linea ferroviaria ormai dismessa Lagonegro –Castrovillari - Spezzano Albanese Terme, con partenza dalla Stazione di Laino Borgo ed arrivo a quella di Pietragrossa, all’altezza di Laino Castello ha previsto una deviazione per raggiungere e visitare il vecchio borgo abbandonato . Il tracciato era una classica via di montagna “ a scartamento ridotto ” e con addirittura alle due estremità brevi tratti a cremagliera (per superare pendenze che andavano dal 75 al 100 per mille) .Non mancavano, perciò, lungo il percorso,soluzioni tecniche spettacolari(come ad esempio la galleria elicoidale di Castelluccio) o quanto meno curiose, come i “ binari di salvamento ” posti alle due stazioni di Castelluccio Superiore e Inferiore, a Rotonda e, appunto, alla fermata di Laino Castello. Si trattava di binari tronchi insabbiati in forte contropendenza, verso i quali veniva attivato lo scambio fino a quando il treno non si fosse fermato in stazione. Soluzioni tecniche spettacolari, paesaggi affascinanti, storia e cultura del territorio, un mix che nulla ha da invidiare a tratte ferroviarie del Nord (leggi Trenino Rosso del Bernina, percorso proprio dai soci del CAI Castrovillari nel Settembre scorso) che intelligentemente hanno fatto di tutto ciò una risorsa in termini di promozione turistica, economica e di immagine per l’intero comprensorio. Tutti gli escursionisti, entusiasti di trascorrere una giornata all’insegna del divertimento, hanno potuto ammirare un originale percorso attraverso gallerie, ponti a quattro e sei arcate dai quali si gode uno spettacolare panorama sul fiume Battendiero o sulle due Laino, cinte da una fascia d’alture tra le quali spicca in lontananza la solitaria piramide del Monte Alpi.

14 Settembre 2003: Ecobike. Piano Novacco - Piano Campolongo

Si è svolta la terza edizione di Ecobike 2003, la rinomata passeggiata naturalistica in mountain bike patrocinata dall’Assessorato allo Sport della Comunità Montana Italo - Arbereshe del Pollino. Numerosi i partecipanti che si sono cimentati sui due percorsi possibili, alternativi per i differenti gradi di difficoltà che presentavano, per le distanze da coprire e per i dislivelli da superare, ma entrambi di grande suggestione. Uno, facile per tutti, lungo 15 km, da percorrere passando per Piano Minatore; l’altro, un pò competitivo, di 25 km, da percorrere passando per Piano Vincenzo, Rossale, Laghetto di Tavolara, Piano Ferrocinto e Fonte Cardillo. Dopo l’indubbio successo delle due edizioni, cui hanno partecipato tantissimi amatori della bici e della montagna, Ecobike 2003 si è ripresentata sotto i migliori auspici riponendo l’accento su una corretta fruizione dell’ambiente e proponendo una giornata di sport e di natura da vivere in prima persona, quindi sostanzialmente in modo nuovo e più sano. Degna di nota la numerosa partecipazione di interi nuclei familiari e di bikers provenienti dall’intera provincia di Cosenza che hanno potuto apprezzare le bellezze naturali e paesaggistiche del nostro territorio.

4/7 Luglio 2003: tra le Alpi Centrali nel Parco Nazionale dello Stelvio di Mimmo Pace

Questo paesaggio lunare sovrasta il Passo della Forcola di Livigno - m. 2315 - , che noi del CAI di Castrovillari, dopo un interminabile viaggio di oltre 20 ore a bordo di un pullman delle Autolinee Santoro, stiamo per travalicare per poter giungere a Livigno e proseguire poi per Bormio, base d’appoggio ad un’ escursione sul M. Confinale, nel Parco Nazionale dello Stelvio. Siamo appena giunti in questo pittoresco centro montano; ci troviamo in “zona franca”, per cui alcuni generi, quali alcool, cioccolato, profumi, zucchero e fotocamere, si possono far propri a prezzo stracciato. I più si dedicano a una ricerca affannosa per le lunghe vie del paese, presso i mille esercizi, nel tentativo di reperire la merce ambita al miglior prezzo, ricerca che terminerà solo diverse ore dopo, con discreti risultati ma con tanto stress. C’è chi invece preferisce visitare le bellezze naturali che il luogo offre e lasciandosi trasportare da un breve tratto di funivia, sale al Mottolino per ammirare, anche se da lontano, la maestosità del Bernina, un 4000 di tutto rispetto delle Alpi Centrali o ancora, per scorgere dall’alto questo curioso quanto oblungo paese, rinomato centro di sports invernali, o per immergersi nel verde di prati lussureggianti e godere di una gran quiete bucolica, esaltata ed impreziosita da inattesi quanto teneri quadretti. Siamo ripartiti; dopo un’ora di saliscendi lungo strade strette e tortuose, intravediamo con sollievo la verde conca di Bormio, con la cerchia di alte vette che la sovrastano. Il confortevole Hotel Alù ci accoglie; possiamo finalmente rinfrescarci e rifocillarci in vista della impegnativa escursione che domani ci attende . Di buon mattino, percorriamo in pullman la Valfurva fino a S.Caterina - traccia bianca - ; ci attendono due fuoristrada a bordo dei quali risaliremo la sterrata che in qualche chilometro conduce al Rifugio Stella Alpina – m. 2061, base di partenza dell’escursione - traccia verde - . Ci troviamo nel cuore del comprensorio lombardo del Parco Nazionale dello SteAlvio. A qualche tiro di schioppo e leggermente più in quota, l’antico Rifugio dei Forni, già attivo sul finire dell’800, oggi trasformato in una accogliente e moderna struttura. Il Rifugio era un tempo frequentato da semplici e leggendarie figure di guide alpine, le quali conducevano per queste montagne tante altre figure, anche femminili, non meno coraggiose e intraprendenti ed anche da uomini d’acciaio, che con mezzi del tutto inadeguati, ma con tanta audacia, dedicavano la loro esistenza a imprese proibitive e affascinanti. Tutti sicuramente erano mossi da una passione irrefrenabile per la montagna e per i segreti che essa a quel tempo ancora celava. Proprio dalle gesta di questa Gente è nato l’alpinismo nella sua accezione più autentica . Sono uomini e lembi d’Italia questi, che hanno segnato la storia del glorioso sodalizio cui apparteniamo e di cui hanno contribuito ad accrescere fama e prestigio . Davanti al piazzale del rifugio il gruppo si ritrova per organizzarsi al meglio e predisporsi così all’escursione. Prima che l’avventura inizi, il Sig. Plamen, una preparata e saggia guida alpina di nazionalità bulgara, ricompatta intorno a se il gruppo, illustrando il percorso, consigliando come affrontarlo e fornendo con grande competenza interessanti notizie su flora, fauna e natura geolocico-glaciologica del lembo di parco che ci accingiamo a visitare. Avvalendomi di qualche immagine significativa, proverò ad illustrare brevemente il Parco Nazionale dello Stelvio : Istituito nel 1935, esso si estende su di una superficie di 134.620 Ha, nel cuore delle Alpi Centrali e comprende l’intero massiccio montuoso dell’Ortles – Cevedale con le sue valli laterali. L’area del parco è suddivisa in 3 settori: il più esteso appartiene alla Regione Lombardia, un altro alla Provincia Autonoma di Bolzano ed un terzo ricade nella Provincia Autonoma di Trento. La gestione è affidata a 3 Comitati, che si occupano ciascuno della propria area di competenza, seguendo le “linee-guida” dettate dal Consorzio del Parco. AFo Nel parco è presente ogni caratteristica alpina, vette imponenti, ghiacciai d’alta quota, laghi d’origine glaciale, spumeggianti e fragorosi torrenti di montagna . Dolci alpeggi e pittoreschi masi di montagna, abitati tutto l’anno da gente semplice e tenace. I fondovalle sono interamente ricoperti da lussureggianti foreste di abete rosso, larice, pino cembro, pino mugo, che a volte danno vita a eccezionali connubi di essenze legnose. La bassa valle dei Forni, di cui propongo una veduta, ospita un’estesa pineta pura di pino cembro, che costituisce un tipico esempio di foresta di clima continentale freddo delle valli alpine interne. La notevolissima escursione altimetrica del territorio e i diversi microclimi favoriscono la presenza di una flora estremamente varia: si va dalla Stella alpina, alla Genziana di Koch, dall’Anemone primaverile, al Giglio martagone, dall’Anemone alpino al Rododendro ferrugineo, al Ranuncolo glaciale. Cervi, camosci, caprioli e stambecchi popolano le valli del parco. Particolarmente ricca di selvaggina la Val Zebrù, che ospita centinaia di stambecchi e camosci. Presenti la marmotta, l’ermellino, il tasso, la volpe e la lepre alpina. Anche l’avifauna è molto ricca: accanto alla presenza dell’aquila, c’è quella del gipeto e dell’avvoltoio degli agnelli, del gallo forcello e della pernice bianca. Ma veniamo alla nostra escursione : La cartina ne mostra l’impegnativo percorso, che inizia dal rifugio Stella Alpina a m. 2061 e termina sulla vetta del Confinale, a quota m. 3370. Lasciato il rifugio e attraversata una breve radura, ci addentriamo nella magnifica cembreta, la quale ci accompagnerà per un discreto tratto. Usciti allo scoperto su di un terrazzo panoramico, si apre alla nostra vista la Valle dei Forni, sul cui fondo scorre il torrente originato dall’omonimo ghiacciaio. Mentre il gruppo riprende un po’ di fiato, una farfalla si posa su di un berretto, attratta forse dal suo giallo vivace. La prima vera asperità del percorso è appena iniziata; si dovrà risalire Aun ripido costone di 400 metri per giungere al Sasso di Prealda, a 2709 di quota. Con fatica, procediamo sull’impervio e assolato sentiero, toccando alla fine la sommità del costone. Un limpido ruscello ci invita ad un breve relax, mentre ci si offrono alcuni scorci panoramici davvero interessanti. Sulla destra il Pizzo Tresero , incombe maestoso sulla valle dei Forni. Difronte, il Ghiacciaio dei Forni, esteso circa 13 Km2, ancor oggi possente malgrado la sua vistosa regressione, per come ci conferma la nostra guida. Si tratta di un ghiacciaio celebre, per essere stato teatro delle prime esplorazioni alpinistiche ed anche oggetto di continui studi per la sua caratteristica di ghiacciaio di tipo himalayano. Questo stralcio cartografico mostra con maggiore evidenza come esso sia originato da più bacini di alimentazione e da più colate, confluenti in una sola lingua, per come appunto si verifica nei ghiacciai dell’Himalaya. Abbiamo ripreso da poco il cammino; l’erta si è addolcita, ma percorriamo un sentiero decisamente impervio: stiamo risalendo la valle della Manzina. In breve raggiungiamo l’omonimo laghetto e posiamo per una foto ricordo. Lassù, dall’alto dei suoi 3370 metri, il Confinale ci attende. Ci volgiamo indietro per inquadrare il simpatico laghetto nella cornice che più gli si addice ed anche per immortalare le tre Grazie, facenti parte del gruppo. Il nostro occhio è ora interessato da un insediamento di “Rhizocarpon geographicum”, un lichene tipico delle rocce silìcee. L’escursione ritorna impegnativa; siamo costretti a risalire un ripido canalone, destreggiandoci come possiamo tra infìdi sfasciumi di rocce e c’è chi sente il bisogno di sostenersi a curiosi obelischi naturali . Ci muoviamo in un paesaggio lunare; dovremo risalire una dura erta, prima di poter raggiungere la sommità della forcella sulla quale è appollaiato il bivacco Del Piero a 3180 m. di quota. Sulla forcella, la vista si apre sull’Ortles, la vetta eccelsa del parco. Volgendoci dal lato opposto rivediamo dondAe proveniamo, avendo modo così di valutare appieno la durezza del percorso. Stiamo risalendo l’ultima e più dura rampa, che si sviluppa su enormi macigni e salti, che la guida ci raccomanda di aggirare con prudenza. Per raggiungere la vetta occorrerà ancora una buona mezzora di impegno. Durante la faticosa ascesa qualcuno sosta per riprendere fiato e fruire di alcuni scorci naturalistici di grande interesse: sotto di noi un pauroso dirupo con la sottostante ripida vedretta del Fora. Più in alto, sovrastata dal Cevedale, la Cima della Manzina, dall’aspetto rossastro originato dall’ossidazione del ferro contenuto nelle sue rocce. A tal proposito, evidenziamo che questo versante della Val Zebrù è costituito da rocce metamorfiche, cioè da rocce eruttive, profondamente modificate nella struttura, mentre sull’opposito versante affiorano rocce sedimentarie. A manca, le vette più imponenti del Massiccio dell’Ortles, con un magnifico scorcio sulla Val Zebrù, ricca di ungulati, e pericolosa d’inverno per le valanghe che si originano sui ripidi fianchi, rovinando nel fondovalle. Ma .qualcuno ha fatto il furbo ed ha voluto raggiungere per primo la vetta per posare indisturbato ed anche per ammirare il panorama a 360° che questa cima offre: sotto di noi la verde conca di Bormio ed in alto a Sx la cima Piazzi con sullo sfondo il Gruppo del Bernina. Più a Sx, in primo piano, il M. Gavia e sullo sfondo i monti dell’Adamello. Se ci si volge ancor più a Sx, si può ammirare lo snodarsi del maestoso arco delle 13 cime che compongono il Gruppo Ortles-Cevedale: sono visibili nella foto Pizzo Tresero, P.ta S. Matteo, P.ta Taviela, M. Vioz, Palon de la Mare. L’arco prosegue col M. Rosole, col Cevedale e la sua affilata dorsale per concludersi con le vette più imponenti del sistema montuoso: l’austero Gran Zebrù, il M. Zebrù e l’Ortles, una montagna che sfiora i 4000. L’intero gruppo è ora in vetta, il rituale della foto ricordo è ormai una prassi consolidata e irrinunciabile. Ci si rifocilla per bene e s’intraprende Apoi la via del ritorno che, nonostante in discesa, risulterà logorante al pari di quella dell’andata. Siamo ridiscesi a valle e ci troviamo ormai nei pressi del rifugio. Le ombre della sera scendono e accrescono la bucolicità del paesaggio, un paesaggio, questo, profondamente dissimile da quelli ammirati prima, fra dirupi e scoscendimenti . Un 3000 è stato conquistato e siamo tutti felici, ma questo affiatato gruppo già sogna un 4000 di tutto rispetto. Si relizzerà mai questo sogno? Se l’avventura naturalistica si è felicemente conclusa, prosegue a pieno ritmo quella turistica . Così, l’indomani sono tutti impazienti di prendere il trenino rosso del Bernina per visitare la famigerata S.Moritz. Qualcuno ormai avanti negli anni, per evitare lo stress, preferisce girare per Bormio, a fare shopping ed anche visitare la cittadina, interessante dal punto di vista storico, per essere stata sede di un’ importante contea. La foto mostra P.zza Cavour, con l’antica collegiata dei SS. Gervasio e Protasio, esistente già nel IX secolo e la Torre delle Ore del XV secolo. Quest’altra immagine presenta la Torre di Casa Alberti del XV secolo e l’Oratorio di S. Giacomo. Girovagando di qua e di là, ci si imbatte in scorci caratteristici della Bormio di ieri. Non mancano angoli molto curati, che testimoniano il buon gusto e la creatività di questa gente. Il culto dei fiori e l’amore per il verde regnano sovrani e si esprimono a livelli davvero notevoli. E non è affatto difficile scoprire suggestivi recessi ombrosi come questo, che offrono quiete e ristoro. Bormio è interessante anche sotto il profilo culturale : Palazzo De Simoni, un’architettura del XVII secolo, ospita la Biblioteca e il Museo Civico. La Biblioteca conserva 3500 volumi, preziose pergamene dell’XI secolo e gli atti dei processi alle streghe del 1300. Il Museo Civico ospita una sezione storico-artistica ed una etnografica, dove sono presentati non solo gli antichi strumenti di lavoro del mondo contadino e artigiano, ma anche l’ambiente domestiAco. Nella sezione storico-artistica, oltre a dipinti, opere dell’artigianato e cimeli della grande guerra, combattuta pure tra queste montagne, sono custodite slitte e carrozze, tra cui la diligenza di servizio postale tra Bormio e il Tirolo, lungo il Passo dello Stelvio. Nella parte alta della cittadina, in una zona verdissima e salùbre, è allogato il Giardino Botanico Rezia. Esso ospita, su di una superficie di 14.000 mq. , più di 2500 specie floristiche del Parco Nazionale dello Stelvio e di altre zone alpine. Poco più a valle è allestito un museo naturalistico-mineralogico, che oltre a numerosi diorami con esemplari di fauna locale, custodisce cristalli e fossili valtellinesi. La raccolta ammonta a circa 2500 pezzi, alcuni dei quali sono d’importanza internazionale. Frattanto, il trenino ha già attraversato la splendida e verdeggiante conca, sul fondo della quale è adagiata la cittadina di Tirano. Raggiunge il lago di Poschiavo, lambendo quasi le sue sponde. Risale la valle, inerpicandosi sull’ennesimo tornante fino al passo . . . a 2323 metri di quota. Percorre ora una zona impervia, costeggiando il Lago Bianco, alimentato dai ghiacci del Pizzo Palù. E corre sempre in quota, sotto il Bernina, al cospetto del possente ghiacciaio del Morteratsch. Ora il trenino opera un autentico carosello-gymkana, sembra proprio un trenino giocattolo, ma S. Moritz è ormai vicina. Il gruppo è allegro per il bel viaggetto e molto ansioso di scoprire questa elegante cittadina svizzera, autentico paradiso dello sci invernale. Ed ecco che finalmente si profila all’orizzonte, adagiata sul suo lago in una conca verdissima e amena. Si gira in lungo e in largo, per ammirare da presso le ardite architetture e le ricche vetrine. E ormai stanchi finalmente ci si siede tutti a tavola, con la speranza di ristorarsi, ma piuttosto maluccio, abbiamo saputo e a costi esorbitanti. Non tutte le ciambelle, purtroppo, riescono col buco . E soggiungo che, se non fosse per i sorrisi dispensati dalle miss, l’immagine che seAgue testimonierebbe, senza equivoci di sorta, in quale misero stato fossero ridotti diversi elementi del gruppo, dopo l’avvenuta falcidia nei rispettivi portafogli ma, per fortuna, sono esperienze ormai alle spalle. Non ci resta che sorbirci il lungo viaggio di ritorno in Calabria . I volti ormai stanchi e spenti, gli occhi insonnoliti, poco importa, si ritorna zeppi di conoscenze e non solo naturalistiche ma soprattutto interiormente arricchiti da producenti contatti umani e preziose esperienze di gruppo.

3 Agosto 2003 > Belvedere di Malvento - Serra del Prete

Anche se mentalmente il pensiero corre alla spiaggia assolata, il richiamo della natura e della montagna fa sentire la sua voce tra i partecipanti alla spedizione che non hanno voluto rinunciare ad una bella ascensione sulla cima della Serra del Prete. Il tempo che ci accoglie a Piano Ruggio ci fa dimenticare immediatamente che siamo nel mese di Agosto, poichè troviamo cielo scuro e nuvoloni carichi di pioggia. Ma nulla ci ferma. Intraprendiamo il sentiero per il Belvedere e dopo aver dato un’occhiata al maestoso Faggio delle Sette Sorelle (così dicono si appelli a causa delle sue radici) ci incamminiamo per il sentiero che ci conduce velocemente sulla cresta nord-ovest della Serra. Il panorama è molto limitato a causa di una fitta nebbia ma, dialogando piacevolmente tra noi, raggiungiamo velocemente la cima . A tratti la nebbia si dirada e ci lascia intravedere alcuni scorci di panorama su Gaudolino, Ruggio, Pollino etc. ma niente di eccezionale rispetto a quelli che solitamente si possono ammirare da quassù. Dopo aver consumato la colazione al sacco ci avviamo lungo la via del ritorno che decidiamo di percorrere attraverso il vecchio sentiero dei carbonai. Ma, forse per la nebbia o per un errore di valutazione, non riusciamo ad imboccarlo. Comunque procedendo in tutta sicurezza, facilmente e repentinamente, scendiamo di quota fino e raggiungere le auto che avevamo lasciato all’imbocco del sentiero sul pianoro sottostante la Serra. Ci salutiamo dandoci appuntamento alla prossima escursione che ci porterà nel Parco Nazionale dello Stelvio.

6 luglio 2003: Traversata del Pollino. da Colle Impiso al Rifugio di Colle Marcione di Mimmo Pace

Alle ore 8 di domenica 6 luglio 2003, due vetture della Rabbi -Taxi ci hanno accompagnato al posto di parcheggio sotto il Colle dell’Impiso per la traversata della Catena del Pollino, come da programma.Il nostro punto d’arrivo sarà il Rifugio di Colle Marcione, dove sabato sera alcuni volenterosi hanno avuto cura di trasferire delle auto, con le quali poter fare ritorno a casa.Con l’ausilio di due stralci cartografici, proverò a indicare l’itinerario da noi seguito, evidenziandolo con una linea gialla; diverse immagini fotografiche, inoltre, illustreranno dal vivo, anche se in maniera molto succinta, la lunga quanto interessante escursione - 20 Km circa -, i luoghi più caratteristici ed anche qualche situazione . . . davvero “sui generis” . La cartina uno, che tra l’altro offre una visione dettagliata dell’intero acrocoro, sovrastato dai cinque 2000, cioè il “cuore del Parco”, mostra la prima parte del nostro percorso : dal Colle dell’Impiso al Passo del Vascello, attraverso la Serra del Prete, il Bosco di Chiaromonte, i Piani del Pollino, il Passo delle Ciavole, il Piano d’Acquafredda e il fianco Nord del Dolcedorme.La cartina due, comprende il prosieguo dell’escursione, e cioè dal Passo del Vascello al Rifugio di Colle Marcione, attraverso il tormentato ed interminabile ciglione di cresta del M. Manfriana, fino alla sua vetta Sud . . . e poi lungo la Cresta dell’Infinito, nei boschi che ammantano il fianco Nord della Timpa del Principe . . . e giù, quasi fin sotto la Timpa di Porace, dove appunto il Rifugio sorge.Dopo un buon quarto d’ora, attraverso un comodo e ombroso sentiero, ci siamo lasciati alle spalle la magnifica faggeta che riveste il versante Nord della Serra del Prete e siamo usciti allo scoperto nella ridente radura, che consente un superbo scorcio sulla mole maestosa del Pollino. Prima di guadare il torrente Frido e intraprendere la carrareccia, che risalendo il fitto Bosco di Chiaromonte conduce ai Piani del Pollino, vale la pena soffermarsi ad ammirare l’imponente valle glaciale della Serra del Prete, quasi ormai interamente rivestita di boschi solenni e senza tempo. Abbiamo già iniziato a percorrere i Piani . . . ma la superba bellezza del paesaggio impone una foto ricordo . Queste verdi praterie d’alta quota - 1800 / 2000 m. - offrono in ogni stagione spettacoli naturali impareggiabili e mutevoli. Questa grossa e multicolore mandria di bovini, che alpeggia sui verdi pascoli dei Piani costituisce anch’essa un vero spettacolo. Lungo il nostro cammino di avvicinamento alla Serra delle Ciavole, vaste distese di genziane in fiore. Il Presidente ci richiede un leggero dirottamento dal percorso segnato, conducendoci proprio sotto il crestone meridionale della Serra delle Ciavole, notevolmente interessante dal punto di vista botanico; qui, la lotta tra loricato e faggio per la conquista di spazi vitali risulta estremamente evidente. Una breve ascesa tra i faggi . . . ed ecco un gigantesco loricato ergersi maestoso, in tutta la sua imponenza . . . . Ne valeva proprio la pena salire quassù per ammirarlo. Riguadagnato il sentiero lasciato, ci si offre un altro scorcio di singolare bellezza ed interesse : la poderosa mole della Serra Dolcedorme e il circo glaciale della Fossa del Lupo con la sovrastante vetta della Timpa di Vallepiana. Superato il Passo delle Ciavole, usciamo allo scoperto in una splendida radura : il Piano d’Acquafredda e alle nostre spalle possiamo ancora ammirare la Serra delle Ciavole, che imprevedibili giochi di luce rendono ancor più fascinosa. All’opposto margine del piano, una sorpresa ci attende . . . sono gli alberi serpente . . . faggi incredibilmente intricati e contorti a tal punto, da meritare appieno una tale identificazione. Presto lasceremo il bosco, per affrontare una dura erta sassosa, attraverso la quale giungeremo al Passo del Vascello. E’ quindi più che mai opportuna una sia pur breve sosta, e cogliere l’occasione per scattare una foto ricordo. Questa immagine evidenzia appunto tutta l’asperità del percorso- Lo scenario è ora d’improvviso completamente mutato .E sono proprio tali contrasti naturalistici a rendere affascinante il nostro Pollino. Abbiamo attraversato l’intero fianco settentrionale della Serra Dolcedorme e stiamo per guadagnare il Passo del Vascello - m. 1961 -. Da lì, a cavallo della linea spartiacque, potremo spaziare con l’occhio su entrambi i versanti e rifocillarci un tantino. Frattanto, qualche interessante soggetto botanico si offre alla nostra attenzione ed al nostro occhio fotografico, uno splendido cespo di Genziana Maggiore, proiettata sulla Timpa di S. Lorenzo, e due esemplari di Semprevivo Maggiore, una piantina molto decorativa ed anche molto resistente agli eccessi climatici di questi luoghi. Il versante Nord, ci offre un magnifico scorcio sul Piano di Fossa e l’immensa distesa verde della Fagosa. Su quello Sud, riusciamo a cogliere un altro momento in cui anche un timido raggio di sole può esaltare le bellezze naturalistiche di questa nostra montagna. Il Passo del Vascello rappresenta un ottimo punto di osservazione del tragitto che ancora ci resta da percorrere, il quale non è proprio fra i più semplici, per come s’intuisce facilmente osservando l’immagine. Da Dx a Sx, la prima cima da raggiungere per poter percorrere poi il lungo ed aspro crinale che ci condurrà sulla vetta Sud della Manfriana. Sempre più a Sx, la vetta orientale che aggireremo quasi alla base, per poi intraprendere e percorrere la Cresta dell’Infinito, visibile a tutta Sx. Gambe in spalla, quindi, c’è da affrontare adesso la parte più ardua dell’intero percorso. Dopo una buona mezzora di continui saliscendi tra pietraie e scivolosi ciuffi d’erba, di pericolosi passaggi su infidi lastroni rocciosi, dopo esser discesi dalla vetta, attraverso una ripidissima scarpata di massi e sfasciumi di rocce, possiamo finalmente goderci questo scorcio favoloso sulla Cresta dell’Infinito, con sullo sfondo il Sellaro e la costa. Percorrendo lo spoglio crinale, spiccano sul Passo Marcellino - Serra i pali di sostegno ed i resti ferrosi della vecchia teleferica della Rueping, che nel primo ‘900 operò vasti diboscamenti sulle nostre montagne. Siamo già in vista della Timpa del Principe e potremo aggirarne la vetta, intraprendendo un sentiero nel bosco subito dopo il pianoro erboso, ma proprio a questo punto, si verifica un incidente di percorso. C’è chi, profondamente attaccato al suo vecchio scarpone, da cui mai è riuscito a separarsi, si vede ora costretto a rimediare alla bisogna, per non esser costretto a proseguire a “piede nudo”, ma tutto si risolve per il meglio. Non ci resta ora che discendere il sentiero che si snoda lungo un dolce, ma interminabile e tortuoso declivio nella fittissima faggeta, che in qualche tratto si apre e consente, non solo una veduta mozzafiato sulla spettacolare parete Ovest della Timpa di S. Lorenzo, ma anche di scorgere finalmente vicina la nostra meta. Sulla via del tramonto, il sole illumina ancora la sommità della Timpa di Porace, mentre il Rifugio è già nell’ombra . Dopo ben 11 ore di cammino, anche quest’avventura si è felicemente conclusa . Il Gruppo rientra provato, ma soddisfatto e felice e già pensa alla prossima sortita, poco importa se tra questa o altre montagne . Importante è andare per monti, insieme!

IL POLLINO COME MEDICINA

Seconda Edizione de “Il cardiopatico va in montagna” di Antonella Cauteruccio

Il 19 luglio si è svolta la seconda edizione de “Il cardiopatico va in montagna” organizzato dal Club Alpino Italiano - Sezione di Castrovillari, dall’Associazione di cardiopatici “Club Cuore Amico” di Mormanno e dall’U.O. di Medicina Interna e Cardiologia Riabilitativa dell’Ospedale di Mormanno . Il percorso, ad anello, con partenza da Piano di Novacco (m 1315), Fiumarella di Rossale, Schiena di Rossale (m 1350) fino al Piano di Tavolara e all’omonimo laghetto, si è sviluppato per un totale di circa 10 km (A/R), della durata di quattro ore di escursione . Hanno aderito cardiopatici e familiari del Club Cuore Amico, soci del Centro Anziani di Mormanno e un gruppo di accompagnatori volontari fra soci CAI e operatori sanitari dell’U.O. di Mormanno, per un totale di 52 persone. Lo scopo primario di questa iniziativa era di far realizzare al cardiopatico un percorso in montagna, in assoluta sicurezza, e promuovere l’esercizio fisico associandolo a momenti ricreativi, di socializzazione per accrescere la motivazione alla regolare attività fisica anche fuori dall’Ospedale e sviluppare sensibilità e passione per la montagna. La giornata è stata caratterizzata da momenti simpatici ma anche impegnativi per tutti i partecipanti. Prima della partenza il Presidente del CAI Castrovillari, Eugenio Iannelli, ha esposto l’iniziativa ai partecipanti, mentre Luigi Perrone, Guida Ufficiale del Parco, ha illustrato il percorso. Tutto il gruppo si è sottoposto a misurazione della pressione arteriosa e frequenza cardiaca e allo svolgimento di esercizi di riscaldamento e respiratori, assistiti dalla fisioterapista . Tutti gli escursionisti hanno potuto ammirare le peculiarità e la bellezza del percorso che si è sviluppato, nella prima parte, parallelamente alla Fiumarella di Rossale dove nuota il “Tritone Italico” e altre specie di anfibi; nella seconda parte lungo la Schiena di Rossale all’interno di un fitto bosco ricco di essenze legnose, il faggio (con alcuni esemplari centenari), l’ontano, l’agrifoglio etc.; per concludersi poi ai rifugi di Tavolara ed al laghetto omonimo incastonato in un paesaggio fiabesco al cospetto di una natura ancora intatta. L’entusiasmo manifestato dai partecipanti e la soddisfazione di Dino De Lorenzo, Presidente del Club Cuore Amico, e del Dott. Giuseppe Musca con suoi collaboratori per i risultati medici raggiunti, ha dimostrato la validità dell’esperienza determinando in essi il desiderio di approntare nuove ed ulteriori iniziative di questo genere.

28/29 Giugno 2003: Piano di Lanzo - Cozzo Pellegrino

Esauriti i preparativi ci muoviamo dall’ Autostazione di Castrovillari alle ore 15. Ci accompagna la consapevolezza di trascorrere due giorni su una delle montagne più panoramiche del Parco con la speranza di abbandonare il caldo afoso che attanaglia da molti giorni tutta l’Italia.Raggiungiamo Piano di Lanzo e di seguito Valle Lupa, la temperatura a 1350 metri di altitudine è già più bassa di una decina di gradi. Zaini in spalla ci inerpichiamo e giungiamo proprio al di sotto della cima del Cozzo Pellegrino. A ridosso di una grande dolina troviamo un pianoro nelle vicinanze del bosco e al riparo dal vento, che spira fresco e forte, dove sistemiamo le tende . Le manovre sono abbastanza veloci e dopo aver sistemato il tutto saliamo sulla cima per osservare il panorama ed assistere al tramonto del sole sul Mare Tirreno, di cui il Pellegrino (m 1987) è un balcone naturale. Sulla cima necessita indossare il pail poichè, la temperatura, causa il vento, è scesa notevolmente. Lo spettacolo non si fa attendere e, seppur con qualche nuvola, rimaniamo estasiati ad osservarlo fino al suo naturale compimento. Torniamo alle tende e consumando la cena alterniamo discorsi seri e faceti. Alla fine della stessa, nel buio e nel silenzio assoluto della notte, alzando gli occhi al cielo, osserviamo e cerchiamo di individuare stelle, costellazioni, astri, rimanendo estasiati da tanto spettacolo che ci offre la natura e che solo in montagna raggiunge, secondo noi, la sublimazione.La notte trascorre tranquilla. La sveglia è alle 5. Ci attende un’altro appuntamento che questa volta si manifesta sul Mar Ionio, l’alba. Lo spettacolo è decisamente coinvolgente e come per il tramonto le foto ricordo si sprecano . Consumiamo una fugace colazione rimanendo nei paraggi delle tende ed aspettiamo l’arrivo, preannunciato, di altri soci provenienti da Lungro che non potendo pernottare con noi ci hanno voluto raggiungere la mattina. Alle 10.30 ci ritroviamo tutti in cima al Pellegrino e, guardandoci intorno a 360 gradi, ricordiamo, a beneficio di chAi non le conosce, una per una tutte le cime, le valli, i pianori che da esso possono essere ammirati, e sono veramente tanti.Dopo le foto di rito ritorniamo alle tende, smontiamo e ci avviamo per il sentiero del ritorno.Giungiamo a Piano di Lanzo all’ora di pranzo. Troviamo tanta gente salita in montagna per difendersi dal caldo. Il posto e la frescura del bosco sono invitanti, ci accomodiamo ad un tavolo dove consumiamo una lauta colazione al sacco prima di rientrare nel caldo afoso di Castrovillari.

14/15 Giugno 2003: Ciminà - Cascate di Caccamelle

Con la collaborazione del CAI di Reggio Calabria… un piacevole weekend nel Parco Nazionale d'Aspromonte! Prima tappa è la visita a Stilo ed in particolare al suo tempietto bizantino, la Cattolica (X Sec.). Dopo aver scoperto le bellezze di questa località "orientale" si riparte per raggiungere, in tarda serata, un accogliente agriturismo nel comune di Ciminà, antico borgo situato in un caratteristico scorcio della provincia reggina, sul versante jonico . Immersi nel territorio del Parco Nazionale d'Aspromonte non possiamo non scoprire le bontà della cucina e dei prodotti tipici locali. L'indomani, Domenica 15 Giugno, ci prepariamo per l'escursione come da programma. Di buon mattino, accompagnati da simpatia e competenza degli amici del CAI di Reggio Calabria, nonché dal nostro Presidente, ci incamminiamo su sentieri ben definiti, e forniti adeguatamente di segnaletica, che portano al Monte Tre Pizzi , così denominato per la sua visibile forma a tre cocuzzoli. Seppur di semplice tracciato, la passeggiata è molto panoramica: si può godere la vista delle tre frazioni componenti Ciminà, ossia Camuti, Fantò e Quarantana, nonché del Monte Antoninello, della località Antonimina , del Monte Petrotondo e dell'altopiano dello Zomaro. Dopo circa due ore, ripercorrendo il sentiero in senso inverso, siamo giunti al punto di partenza. Ristorati da fresche acque del posto ci rimettiamo in cammino per la visita alle Cascate Caccamelle. A causa di tratti più scoscesi, qui il percorso risulta di maggiore difficoltà . L'escursione dura circa cinque ore. Attraversiamo immensi boschi la cui flora è molto varia , tipica dell'Aspromonte, (predomina infatti il leccio, l'erica arborea e il corbezzolo). Lungo il percorso incontriamo la cascata Nessì , dal nome del torrente che qui scorre e che rende il tragitto ancora più affascinante. Proseguendo si giunge alla cascata "delle Caccamelle" ,ossia il punto in cui l'acqua della "fiumara", nel tempo, ha inciso a forma di vasi le rocce lungo le quali scorre e che offre un piacevole momento per rinfrescarsi . Ci rimettiamo sul sentiero per giungere a valle dopo altre tre ore di salutare cammino! Dopo esserci congedati dai numerosi amici, qualcuno dei nostri lancia la proposta di un bagno rinfrescante e ristoratore. Non paghi, concludiamo la due giorni reggina con un bagno tonificante nelle calde acque di Ardore Marina.

8 Giugno 2003: Fonte Cardillo - Belvedere di Serra la Vespa

Consueto appuntamento annuale con i soci di Lungro che ci accompagnano lungo itinerari poco conosciuti e frequentati, se non da chi ama la montagna e la vive fin dalla più tenera età, ma sempre affascinanti.Dopo esserci ritrovati nella Piazza centrale della piccola cittadina Arbëresh e aver visitato la Cattedrale con i suoi splendidi affreschi, aver ammirato i portali in bronzo che ne arricchiscono la facciata, ci avviamo verso Piano Campolongo per arrivare successivamente al punto di partenza della nostra escursione Fonte Cardillo .Qui troviamo una copiosa sorgente con le cui fresche acque riempiamo le nostre borracce.La giornata si presenta particolarmente calda ma il percorso si sviluppa attraverso una comoda stradina nel fitto del bosco. Sono luoghi dove è possibile ammirare una folta e varia vegetazione ed essere accompagnati dal canto degli uccelli. Attraverso un sentiero che non presenta particolari difficoltà raggiungiamo Piano Ferrocinto per proseguire e raggiungere poi il Belvedere di Serra la Vespa. Durante la salita notiamo la presenza nella zona di grandi e numerosi inghiottitoi ancora colmi di neve , subito la mente corre ai tanti che in tempi lontani salivano fin quassù a raccoglierla per portarla nei piccoli paesi e venderla o servirsene durante i mesi caldi. Serra La Vespa, un promontorio dal quale si può ammirare una insolita veduta delle montagne che circondano le cittadine di Saracena e Lungro. Osserviamo così sotto di noi Piano Campolongo e subito sopra il Caramolo, Scifarello, Timpone della Magara, per passare alla nostra sinistra e vedere Il Palanuda, i Crivi di Manciacaniglia, e la sagoma imponente della Pietra Campanara.Dopo le foto di rito e una non tanto frugale colazione al sacco riprendiamo la strada del ritorno che velocemente ci riporta alle auto. Ci salutiamo non prima di aver riempito nuovamente le nostre borracce con la gelida e ottima acqua della Fonte Cardillo.

25 Maggio 2003: Mongiana - Serra S. Bruno

"Sempre più desidero scalare i monti, guadagnare le punte più ardite; provare quella gioia pura che solo in montagna si ha"(P.G. Frassati) L'escursione di Domenica 25 Maggio, prevista nel programma CAI 2003 tra le Intersezionali Regionali, ha avuto come meta il "Sentiero Frassati" (itinerario naturalistico dedicato al beato Pier Giorgio Frassati), Mongiana e Serra San Bruno, nel catanzarese. I numerosi partecipanti, riunitisi a Serra San Bruno, si avviano lungo un percorso molto semplice, immerso in una verde e rigogliosa vegetazione e ricco di ruderi di civiltà del passato: casolari abbandonati, tracce di vecchi mulini, resti delle ferriere borboniche. Lungo il cammino fanno compagnia i rumori del bosco e quelli di vita quotidiana, prodotti dall'attività dei contadini che ancora oggi vivono con i loro allevamenti in questi luoghi ameni. Dopo lunghe ma piacevoli ore di cammino ed una rigenerante pausa nel verde dei boschi si giunge a Villa Vittoria, nel comune di Mongiana (m. 910 s.l.m.), oggi struttura del Corpo Forestale dello Stato, che offre una splendida vista su sentieri ad anello di piante officinali e alberi da frutto che si coltivavano in passato, raccolta di rocce, orto botanico, vivaio forestale, sentiero faunistico e allevamento di cavalli murgesi. Nel pomeriggio l'interessante e ricco itinerario escursionistico termina con la visita al Museo della Certosa di Serra San Bruno, dove i rumori e i commenti della giornata lasciano il passo al silenzio, per un momento di riflessione e soprattutto per rispettare lo spazio e l'operato di chi vive in questo posto, dedito alla preghiera, alla contemplazione, al lavoro e ai sacrifici "certosini"!

18 Maggio 2003: Direttissima del Dolcedorme

Puntuali all’appuntamento, alle ore 7.30, ci incontriamo con i soci di Catanzaro e di Reggio Calabria. Dopo esserci salutati calorosamente facciamo il punto della situazione, considerate le non buone condizioni metereologiche, prima di portarci a Valle Piana punto di partenza dell’escursione. Fatte le considerazioni del caso decidiamo di effettuare comunque l’escursione anche se la spettacolarità del percorso, con le nuvole, perderà tutto il suo fascino. Ci incamminiamo lungo il sentiero e senza difficoltà, attraverso il bosco, arriviamo al valico con Valle Cupa (1300 mt). Nota curiosa, nel bosco incontriamo un cagnolino da caccia senza proprietario che ci accompagnerà per tutta l’escursione, gli diamo il nome di Billy,. Incominciamo quindi ad inerpicarci attraverso il costone roccioso per la successiva meta che è rappresentata dal Campo Base a 1810 metri. Il percorso si fa difficile e dobbiamo proseguire con molto attenzione. Tra le nuvole comunque riusciamo a scorgere un po’ di panorama che ci fa intravedere Castrovillari, Morano, San Basile, Saracena, etc. Alle 11.30 arriviamo al Campo Base, Billy è sempre con noi. Dopo una breve sosta ripartiamo per affrontare l’ultima ma più difficile parte del percorso. Ci immettiamo nel canalone che ci porterà alla base del Dolcedorme e nel salire leggermente di quota ci ritroviamo su una lingua di neve ancora spessa e abbastanza consistente. Il cammino prosegue lento e con maggiore accortezza considerata la notevole pendenza e la difficoltà del percorso. Chi non ha mai effettuato questa escursione, e sono la maggioranza nel gruppo, si meraviglia e nel contempo si compiace delle asperità del percorso. Arriviamo e ci soffermiamo al Cippo Grandinetti, targa ricordo in memoria di un socio della Sezione di Catanzaro. Proseguiamo e, nonostante la nebbia, si notano numerosi e bellissimi pini loricati che si ergono maestosi.Arriviamo alla meta, la vetta del Dolcedorme, alle ore 13.30.Dopo una breve pausa per consumare la colazione al sacco, apporre la firma sul libro di vetta ci ??††)???(rimettiamo in cammino per la discesa. Durante la colazione il più contento è Billy, che arrivato in cima insieme a noi raccoglie più di un boccone da parte di tutti. Se lo è meritato.Ci avviamo verso la Valle del Faggio Grosso, rapidamente scendiamo di quota e ci inoltriamo nel bosco non prima di aver ammirato, in una atmosfera surreale, i pini loricati del posto. Attraversiamo il bosco e velocemente arriviamo alle auto dove commenti entusiasti sull’escursione vengono espressi da tutti i partecipanti.Prima di salutarci le nuvole, nel frattempo diradatesi, ci permettono di ripercorrere e focalizzare dal basso tutto l’itinerario effettuato destando ancora di più felicità e soddisfazione in chi ha vissuto questa esperienza. E Billy? All’ultimo incrocio, prima che arrivassimo alle auto, ha deciso di proseguire senza di noi. Chissà dove sarà?

11 Maggio 2003: San Sosti – Il Campo di Francesco Rotondaro

Come tutti gli anni, a metà primavera, è consuetudine l’escursione sui monti della Dorsale del Pellegrino in collaborazione con l’A.I.N. (Associazione Italiana Naturalisti) e con la guida di Vincenzo Maratea. Quest’anno obiettivo dell’escursione è stato il sentiero storico che da San Sosti porta al Campo di Annibale. Ci ritroviamo alle 08.30 nella Piazza di San Sosti e siamo in 20 che giungiamo da varie zone della provincia di Cosenza (Castrovillari, Carolei, Donnici, …). Dopo i giorni di incredibile caldo che abbiamo avuto, oggi fa un po’ più fresco e appare anche qualche nuvola, questa situazione metereologica dovrebbe favorire la lunga risalita al Campo di Annibale. Partiamo alle 08.40 e il primo tratto del sentiero è un lastricato di pietre molto fastidioso, dopo qualche centinaia di metri finalmente abbandoniamo il lastricato per inerpicarci lungo un comodo sentiero fino ad affacciarci sulla bellissima valle del Fiume Rosa. Sotto di noi ci sono le rovine del Castello della Rocca , che più che un castello, come ci dice Vincenzo, potrebbe trattarsi di una torretta di avvistamento che era in comunicazione con il sito di Artemisia che si trovava nella parte alta dell’altro versante della valle. Sempre sull’altro versante, in basso, ci appare il complesso della Madonna del Pettoruto, santuario molto venerato nella provincia di Cosenza. Purtroppo la zona del santuario è stata sfigurata da una serie di costruzioni e da alti muri di contenimento in cemento che hanno rovinato l’incantevole aspetto originario . Da qui il sentiero si inerpica nella parte bassa della valle del Rosa per portarci verso il piano di Casiglia. Il sentiero si snoda in un bosco di lecci, alcuni dei quali anche di grandi dimensioni. Ci accompagnano nella salita una coppia di Corvi imperiali ed una coppia di Poiane che litigano continuamente. Quasi all’uscita sul piano di Casiglia ci compare la rupe di “Due dita” , si tratta di due grandi speroni di roccia calcarea divisi da una stretta fessura. Dopo poco meno di due ore dalla partenza giungiamoA all’abbeveratoio del piano di Casiglia, dove facciamo la prima sosta. Il piano di Casiglia è un pascolo di media quota caratterizzato dalla presenza di qualche campo coltivato e da alberi sparsi tra i quali le bianche fioriture dei peri selvatici spezzano l’intenso verde che caratterizza tutto il paesaggio. Dopo esserci rifocillati riprendiamo il cammino per il Campo, ora il sentiero risale dolcemente nel bosco dove la pianta che domina è il cerro. Nel sottobosco troviamo delle splendide fioriture di Paeonia peregrina , si tratta di un fiore di grandi dimensioni e di colore rosso intenso. E’ una pianta molto rara, che secondo recenti ricerche, in Italia è presente esclusivamente all’interno del Parco Nazionale del Pollino, con poche popolazioni, localizzate nelle schiarite delle cerrete. Risalendo, in un fosso troviamo delle Peonie che hanno un colore rosa anziché rosso, e Vincenzo pensa che possano essere Paeonia macula . Avvicinandoci al Campo attraversiamo il bosco della Zoppatura, caratterizzato da forti pendenze e dalla presenza di cerri di grandi dimensioni. Il nome Zoppatura sembra derivare dall’alta frequenza di “infortuni” che nel passato subivano gli asini costretti a trasportare la legna lungo questo tratto di sentiero in forte salita. Lungo il sentiero alcuni di noi riescono a vedere qualche cinghiale ed una coppia di Morimus asper in accoppiamento. Morimus asper è un Coleottero Cerambicide di colore grigio scuro caratteristico delle quercete, riconoscibile per le antenne molto lunghe e per quattro macchie nere sul dorso. Verso le 13 giungiamo al Campo di Annibale, dove troviamo delle fioriture che offrono uno spettacolo cromatico difficilmente dimenticabile . Tra queste fioriture è di grande importanza quella della Genziana verna , un piccolo fiore di colore azzurro intenso, in quanto il Campo rappresenta il suo limite meridionale di distribuzione. Troviamo un posto riparato e finalmente si pranza, in questo momento dagli zaini esce veramente di tutto. Dopo aver lautamente pranzato, percorriamo il CAampo di Annibale , dove nel frattempo è sopraggiunto un gruppo di cavalli, per affacciarci nell’alta valle del Rosa da dove ci appare in tutta la sua imponenza il profilo del gruppo montuoso della Montea . Da questo punto di osservazione ci rendiamo conto che andare sulla Montea, da qualsiasi versante si voglia salire, rappresenta l’escursione più difficile e più spettacolare del Parco Nazionale del Pollino. Dopo il rito delle foto di gruppo, riprendiamo la via del ritorno. Percorriamo lo stesso percorso accompagnati da un caldo sole che ci fa giungere, poco prima delle 19, alle auto tutti un po’ arrossati. Stanchi ma soddisfatti per aver conosciuto un nuovo sentiero, che da un punto di vista naturalistico e paesaggistico è splendido, ringraziamo Vincenzo e ci diamo appuntamento per il prossimo anno.

27 Aprile 2003: Appennino Lucano. Monte Crivo di Vincenzo Malfone

L’escursione odierna ci porta a Trecchina , in Lucania nella Valle del Noce, paesino dalle tradizioni artigianali. Usciti dall’ Autostrada si percorre la SP 44 attraverso campi coltivati fino a raggiungere il centro del paese dove in Piazza del Popolo, con giardini ed un’antica Croce di Pietra, si erge la Chiesa di San Michele. Raggiunto il paese si prosegue per qualche chilometro, imboccando una comoda sterrata che ci porta alla base di partenza per il Monte Crivo. Utile la segnaletica in legno Monte Crivo, Pie’ della Scala, Montescala. Superata la Masseria Casella, lasciamo sulla nostra destra un’ abbeveratoio nei pressi del quale iniziamo la salita, settecento metri di dislivello per raggiungere la cima. Mano mano che si sale si guadagna spazio e visuale. Vediamo alle nostre spalle a Serra Pollino m. 1089, il Santuario della Madonna del Soccorso, d’incerta fondazione, in lontananza il Sirino ancora innevato, l’abitato di Trecchina e una bella veduta aerea. Saliti “ai Gruttuni”, grossi massi così chiamati per l’evidente forma a grotta, utili per il riparo della pioggia, lo spazio s’alterna dallo scenario montano a quello marino. Sono a stretto contatto la dorsale lucana dell’Appennino Meridionale e la costa Marateota . La cima è un’ampia terrazza naturale sul mare, da cui la vista spazia sul Golfo di Policastro, e su Monte Coccovello, sede di interessanti fenomeni carsici. La veduta su Maratea è stupenda, specie in una giornata chiara e limpida. In lontananza si notano l’Isola di Dino, la Montea, il Cozzo Pellegrino, il “nostro Pollino”, con evidenti venature bianche segni delle recenti nevicate. E’ d’obbligo una sosta di meditazione nei pressi di una croce in ferro irta sui pendii. Punto di arrivo è nei pressi del Monte San Biagio e della Statua del Redentore, presso la Frazione Massa, insediamento rurale con spiccato carattere montano dal punto di vista paesaggistico. La Statua , alta 21 metri, apertura braccia 19, il viso 3 metri è opera dello scultore Bruno Innocenti (1963) e fu eretta nell’anno 1965 al posto di una croce commemorativa in pietra. Antistante al Belvedere sorge il Santuario di San Biagio con portico rinascimentale.

6 aprile 2003: Paestum di Claudio Zicari

Di inattesa bellezza giungeva la giornata della gita a Paestum e si incastonava, con la sua alba luminosa, tra un sabato grigio di nuvole e pioggia e un lunedì che sarebbe stato di inconsueta neve primaverile. La partenza regalava le prime emozioni e ci faceva contemplare, nell’aria tersa e nitida, la splendida “cattedrale grigio-azzurra” di Serra Dolcedorme abbracciata dalle cime consorelle e, imboccata l’autostrada, giungevamo, perdendo lo sguardo nella vallata di Morano, al piano di Campotenese e da lì ogni vetta, un ricordo, un attimo, un affastellarsi di racconti. Tempus non fugit...ruit. Il discutere sull’ineluttabile scorrere del tempo che accelera e, vorticoso, precipita, incorniciava l’eterna e mutabile bellezza delle incantevoli creste dei monti. La valle del Noce e, tra le vette, il Tirreno lucano. L’ingresso in Campania e gli imponenti Alburni. Giungevamo a Paestum e, ritirati i depliants dalla locale APT, conoscevamo le nostre guide: il Prof. Crivelli del Gruppo Archeologico Salernitano e la Dott.ssa Granise, Assistente Tecnico al Museo di Paestum; la compagnia entrava, quindi, al Parco Archeologico. I cenni storici introduttivi ci avvicinavano al luogo: Poseidonia (che più tardi i Romani chiameranno Paestum) fu fondata dai Sibariti nel VII sec. a.C. nella parte meridionale della pianura attraversata dal Sele, su un basso terrazzamento roccioso prospiciente il mare, in area confinante con gli Etruschi, con i quali i Greci intessevano lucrosi commerci. Poseidonia, infatti, sempre riconoscente ai suoi fondatori, nel 510 a.C. – quando Sibari fu distrutta da Crotone - ne accolse i discendenti e assicurò loro nuove fortune commerciali. In questo periodo è molto forte il legame di Sibari con Poseidonia se sulle monete della città campana compare il caratteristico toro sibaritico. Alla fine del V sec. a.C. Poseidonia diventa dominio dei Lucani, fino a quando, nel 280 a.C., viene conquistata e colonizzata dai Romani.Abbandonata nell’VIII sec. d.C. subisce un graduale impaludamento e, dopo secoli di silenz?????io, viene riscoperta nel Settecento grazie soprattutto alle suggestive incisioni dei suoi templi realizzate dal Piranesi che la portarono all’attenzione dell’intera Europa trasformandola in una delle tappe del “Grand Tour".Visitato il Tempio di Cerere, in realtà dedicato ad Atena, ci siamo recati al Sacello ipogeico, originalissimo monumento greco completamente privo d’ingresso, al cui interno gli archeologi entrarono rimuovendo una tegola. Qui furono rinvenuti degli splendidi vasi in bronzo sigillati e contenenti del miele, un’anfora in ceramica con ricche decorazioni e i resti di una sorta di lettino: l’enigmatica costruzione, tra le varie ipotesi, è forse un tempietto dedicato a una divinità sotterranea o un cenotafio (tomba vuota) dedicato dai Sibariti al ricordo del fondatore della loro città distrutta.Calcando il basolato romano percorrevamo la via sacra e giungevamo, tra i resti delle botteghe romane, ai bordi di una piscina, dove si svolgevano riti muliebri legati alla propiziazione della fecondità. Ci aggiravamo tra la città romana, ne osservavamo le case, ne attraversavamo il foro e ci raccoglievamo al cospetto del grandioso tempio di Nettuno, dei tre grandi monumenti pestani il più splendido, e della magnifica Basilica, entrambi dedicati alla dea Hera. Dai templi al Museo Nazionale, dove, di grande suggestione, sono le metope dell’Heraion alla foce del Sele e le tombe dipinte, tra le quali quella del “Tuffatore”, pregevole esempio di pittura greca, dove, tra scene di banchetto, di gioco e d’amore, spicca la raffigurazione di un giovane che si tuffa in uno specchio d’acqua: forse la rappresentazione simbolica del salto dalla vita alla morte. E anche per noi giungeva l’ora del banchetto, come sempre, piacevole e gioioso. Si ripartiva e, dopo breve sosta al Santuario del Getsemani, costruito ove sorgeva un tempietto dell’VIII sec. a.C. in luogo dominante la piana del Sele, si riprendeva la via del ritorno. Alle prossime vette.

9/16 Marzo 2003: XX^ Neveuisp – Settimana bianca. Il Cai di Castrovillari a San Martino di Castrozza di Maria Pia Martino

Posto a 1.450 m, San Martino di Castrozza ha una solida tradizione ottocentesca di “capitale alpina”, adagiato com’è tra prati, soleggiato e circondato da conifere attraverso cui si snodano lunghi sentieri per passeggiate, oltre a piste da sci alpino e tracciati per lo sci nordico: dall’Alpe Tignola a Malga Ces, passando per Cima Tignola, Valcigolera e Punta Ces, ben 45 km serviti da impianti moderni e veloci. Il paese é sovrastato dalle Pale di San Martino, un gruppo di vette bizzarre e fantastiche che da secoli affascina alpinisti ed escursionisti, ed è collegato alle altre valli dolomitiche mediante il valico di Passo Rolle (a 1980 m), a sua volta dominato dalla guglia aguzza del Cimon della Pala e con 15 km di piste oltre i 2000 m. Il territorio costituisce il cuore del Parco naturale detto di Paneveggio- Pale di San Martino, che si estende per 19.711 ha nella parte nord-orientale del Trentino ed è caratterizzato da tre distinti ambienti: il gruppo dolomitico stesso, la foresta di Paneveggio e parte della catena porfirica del Lagorai. La straordinaria diversificazione dei substrati, delle forme del paesaggio e degli aspetti climatici conferisce al Parco caratteri di elevata biodiversità e pregio naturalistico. Si va dalle bianche pareti dolomitiche ai dolci e verdi pascoli costellati di malghe e tabià, dagli innumerevoli corsi d’alta quota testimoni di antichi ghiacciai, ai relitti di laghi oggi torbiere e stagni. Chi cerca una natura incontaminata e talvolta anche “selvaggia”, può spingere la sua curiosità in Val Venegia, in Val Canali, in Val Noana., alla ricerca delle mitiche Guane, o alla scoperta della capanna di Strix, l’uomo degli uccelli che Gèrard Depardieu impersonava nel film Mirka. Chi invece si bea del patrimonio vegetale e forestale, troverà l’abete rosso, signore incontrastato dell’immensa foresta, che un tempo rese grande la Repubblica di Venezia e che oggi serve l’uomo nell’edilizia, nell’industria del mobile e nella liuteria, per la fabbricazione, con la variante colonnare, delle casse armAoniche dei violini; ospita ancora cervi e caprioli nell’ombra del suo sottobosco, là dove i cacciatori di 9500 anni fa cercavano le loro prede. Il gruppo CAI, guidato dal suo presidente Eugenio Iannelli, si è insediato all’Hotel Colfosco - che nonostante il nome è in ridente posizione ai piedi delle Pale- ; e già il pomeriggio stesso dell’arrivo, alla segreteria UISP, ha avuto la possibilità di ritirare la Neveuispcard, iscrivendosi ai corsi collettivi /individuali di Scuola Sci e alle attività della settimana. Così dal giorno dopo, mentre i principianti si recavano a Prà delle Nasse e gli avanzati in qualunque altra località – molto gettonati sono risultati gli impianti Tignola -, anche il folto seguito di non sciatori, affratellato alle comitive provenienti da tutt’Italia, ha avuto i suoi incontri ravvicinati con i dintorni innevati. Infatti erano state progettate passeggiate che hanno ampliato l’idea del Trentino e, a sentire i non pochi sciatori che si erano organizzati in modo da poter fare le due cose, a fare di San Martino molto più una mèta sciistica: martedì 11, da Passo Rolle raggiunto con lo skibus, si è saliti alla Baita Cervino e alla Segantini , posto ameno dove si ritirava a dipingere l’omonimo pittore; giovedì 13, in Val Canali, tra torrentelli e vene sorgive saltati da vecchi ponti di legno e recenti passerelle, alla “Casa del parco”, Villa Welsperg - appartenuta ai conti che per oltre quattro secoli, dal 1401 al 1827, dominarono l’intera zona intorno alle Pale -, oggi trasformata in museo naturalistico da sfogliare, per i suoi laboratori didattici, la sua biblioteca e, soprattutto, la litoteca, la xiloteca, la fruticoteca, dove sono conservati libri per gli occhi, le mani, il naso, il tatto, perché fatti di odorosi legni e di fredde (e pesanti!) pietre; venerdì 14, la “ciaspolata”, l’escursione con le racchette, su da Passo Rolle, per i Piani della Cavallazza fino ai Laghetti di Colbricon. E in serata una fitta nevicata ha reso ancora più suggestiva la pista Colverde che, tutta illuminata per lAo sci notturno, con 2 km di lunghezza e 500 m di dislivello, snodandosi tra abeti e larici poco sotto le Pale, arriva direttamente nel centro di San Martino.

23 Marzo 2003: Mortilletto – Monte Guono

Sabato sera il tempo ci fa temere per il peggio, ma la mattina dopo si presenta con un magnifico sole ad attendere la nostra partenza. Ci troviamo puntualissimi all’uscita di Cosenza Nord, e, dopo circa un’ora siamo alla base della montagna, pronti ad affrontare questa nuova avventura insieme, fuori dai luoghi a noi più familiari del Parco del Pollino. Ci troviamo, infatti, a Mortilletto, piccola frazione del Comune di Fiumefreddo Bruzio, nella catena costiera, intenzionati a raggiungere la cima del Monte Guono, un balcone naturale che si eleva a 945 m sul Mar Tirreno. Partiamo. Davanti a noi un’affascinante e ripida cresta. Affrontiamo passaggi divertenti ma a tratti difficoltosi ed esposti, fra rocce calcaree simili a quelle del vicino Monte Cocuzzo, la cui vista ci accompagna per tutto il tragitto. In circa due ore giungiamo su Monte Barbaro, anticima del Monte Guono. Da qui un’agevole camminata, su un largo e quasi pianeggiante crestone, che ricorda un po’ il paesaggio sommitale della Serra del Prete, ci separa dalla meta. Giunti in cima possiamo godere di un magnifico panorama, anche se per poco, perché il forte e gelido vento non ci consente una lunga sosta, giusto il tempo del consueto rito della foto di gruppo. Trovato un punto riparato, consumiamo la nostra colazione al sacco fra scherzi e risate. Subito dopo cominciamo a scendere imboccando un sentiero che in poco tempo ci porta nella valle dello Sperone e continua lungo le scoscese pareti della gola del torrente omonimo. Arriviamo alle auto, stanchi, ma grati alla montagna per averci emozionato ancora una volta.

23 Febbraio 2003: Colle Impiso - Piani di Pollino - Monte Pollino

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Dopo una serie di febbrili telefonate nell’arco della settimana per verificare la percorribilità delle strade ci assicuriamo che vi è la possibilità di raggiungere (come era facile prevedere) Colle dell’Impiso da Viggianello. Domenica mattina presto partiamo tranquilli, con la speranza che il tempo, non eccessivamente stabile, migliori. Durante il viaggio, 2 ore circa, il tempo trascorre discutendo sulle solite miserie nostrane: mancata spalatura della neve da Campotenese per Piano Ruggio, versante calabrese isolato, miopia degli amministratori comunali calabresi, Ente Parco indifferente, Comunità Montana assente e chi più ne ha più ne metta. Arriviamo così facilmente a Piano Visitone dopo aver risparmiato qualche chilometro attraverso scorciatoie conosciute da chi la montagna la frequenta quotidianamente per lavoro, il nostro socio e guida ufficiale del parco Luigi. Nell’ultima parte del tragitto notiamo la presenza di una grande quantità di neve che aumenta con l’aumentare dell’altitudine e a dire il vero ci coglie un po’ di preoccupazione per l’ultima salita prima del parcheggio di Colle dell’Impiso. Il leggero strato di neve rimasto dopo la spalatura però ci consente di arrivare fino in fondo senza problemi. Arrivati al parcheggio, nel preparare adeguatamente l’attrezzatura per l’escursione, attrae subito la nostra attenzione un particolare. La catena che impedisce l’accesso al sentiero dei mezzi motorizzati e le due colonnine di ferro che la sostengono sono sepolte dalle neve. Ciò significa che all’inizio del sentiero la neve ha già uno spessore di 70/80 cm. Pronti per partire ci incamminiamo su un sentiero completamente vergine senza l’ombra di nessuna traccia. Siamo i primi ad essere giunti dopo le abbondanti nevicate dei giorni scorsi. Prima sosta, dopo il breve tratto in discesa, ai Piani di Vacquarro. Immacolati, lasciano solo intravedere qualche traccia di animale passato forse nottetempo. A questo punto le macchine fotografiche incominciano a funzionare e saranno instancabili fino alla fine dell’escursione. Si risale per i Piani e più saliamo e più incontriamo difficoltà, in quanto il sentiero è occupato dai rami degli alberi colmi di neve e aggrovigliati, che ci costringono a continue variazioni del percorso nel bosco superate agevolmente grazie alle racchette da neve . Ad un certo punto superiamo un ruscello che scorre sul piano sentiero e ci rendiamo conto, misurandolo con un bastoncino telescopico, che non sono i rami che si sono abbassati a causa della neve ma che siamo noi che camminiamo su uno strato di neve che ha raggiunto già i 150 cm + 170 cm l’altezza media, siamo a livello della cima degli alberi. Arriviamo così a Piano di Rummo e successivamente, uscendo dal bosco, al Piano di Toscano. Uno squarcio nelle nubi lascia passare un sole accecante che ci mostra i Piani di Pollino e le cime che lo circondano ammantate di neve, la stessa ha notevolmente ammorbidito i grandi dislivelli delle sue numerose doline. Decidiamo, a questo punto, di proseguire per la Grande Porta di Pollino, considerato che la cima del Monte Pollino è lontana è costantemente nascosta da funeste nubi. Mai decisione fu più saggia. Le meraviglie dovevano ancora arrivare. Ci avviamo verso lo Zì Peppe. Da lontano scorgiamo le sagome dei primi pini loricati e più ci avviciniamo e più lo spettacolo diventa eccezionale. Arriviamo in prossimità della cresta del Piano di Pollino ed essi ci appaiono in tutta la loro maestosità, stracolmi di neve e di ghiaccio tanto da intravederne solo il nerboruto tronco. I pur robusti rami hanno assunto forme stravaganti sotto il peso della neve da sembrare sculture di ghiaccio e lasciando spazio alla fantasia di ognuno. Ed è così per tutti i loricati che riusciamo a scorgere a vista d’occhio. Le macchine fotografiche impazziscono. La sosta è più lunga del previsto, ma lo spettacolo più affascinante deve ancora venire. Poco dopo ci avviciniamo alla Grande Porta e increduli troviamo l’anziano pino, che simbolo doveva essere e che simbolo è diventato nonostante tutto, emergere dalla neve solo nella parte superiore dei suoi rami, piegati dal fuoco, con il tronco completamente immerso nella neve. Incredibile. Camminiamo su una coltre di neve superiore ai 2 m tanto da arrivare con le nostra testa alla parte più alta dell’albero, quando di solito eravamo abituati, un po’ tutti, a farci le foto sotto l’arco formato dal primo ramo. Lo stupore e l’incanto del luogo ci fa dimenticare la stanchezza, il cielo che è rimasto perennemente coperto; l’osservazione spazia a 360 gradi, contempliamo e fotografiamo quello spettacolo meraviglioso che qualcuno nel gruppo, più navigato ed esperto di noi, Mimmo, ha definito come unico e, considerate le bizze metereologiche mondiali, forse irripetibile. Di sicuro irripetibile sarà questa esperienza che è stata al centro di tutti i nostri discorsi durante la discesa a valle e per tutto il viaggio di ritorno che ci ha riportato, stanchi ma emozionati e soddisfatti, a tarda sera a casa.

9 Febbraio 2003 > Loc. Rosole/Piano Novacco

Un po’ delusi dalle condizioni meteo, piove, cambiate repentinamente nella nottata, ci ritroviamo all’orario prestabilito per partire. Arrivati piuttosto agevolmente in Loc. Rosole di Campotenese lasciamo le auto, prepariamo racchette e sci di fondo e ci incamminiamo. Durante la notte ha nevicato, ci ritroviamo con quasi 25 cm di neve fresca che fa diventare la passeggiata più piacevole. Nonostante il cielo è coperto e continua a nevicare la visibilità è buona e rende tranquillo l’andare. Si arriva così ai Piani di Masistro dove l’area pic-nic è stracolma di neve. Subito dopo Piano dell’Erba che lasciamo dopo le consuete foto di rito. Meta finale il Piano di Novacco in tutta la sua grandezza ma ancora più affascinante ricoperto di neve. La delusione iniziale si è trasformata in felice constatazione che la montagna offre comunque bellezze ed esperienze incommensurabile indipendentemente dalle condizioni meteo. Consumata la colazione al sacco ci prepariamo per il ritorno che facilmente ci conduce al Piano di Masistro. Prima della discesa finale, che ci porterà alle auto, piccola sosta nell’area pic-nic per gustare, preparato da una solerte socia, uno straordinario bicchiere di neve con miele di fichi (a surubbetta).

26 Gennaio 2003: Casino Toscano - Grande Porta di Pollino

La prima uscita del 2003 è particolarmente attesa in quanto da molto tempo non si va in montagna.La giornata si presenta particolarmente coperta e nei giorni precedenti ha nevicato molto. Da questo le nostre preoccupazioni al momento della partenza,subito fugate dal desiderio di sgranchirsi le gambe e provare le nuove racchette da neve. Si Parte. Superato Colle Marcione lasciamo le auto, causa la neve, a molta distanza da Casino Toscano e già riaffiora in noi il timore di non poter raggiungere la meta prefissata. Ma il desiderio è forte e ci incamminiamo. Lo strato di neve fresca su cui camminiamo e il paesaggio incantevole tutt'intorno ci accompagnano. Le racchette da neve ci facilitano la salita che si fa sempre più affascinante.Ci scambiamo sensazioni ed emozioni in quel posto dove, arrivati per primi dopo una abbondante nevicata, riusciamo a scorgere qualsiasi traccia di passaggio di animali. Dopo un paio d'ore siamo già alla Masseria Rovitti.La giornata è volata, sono già le 12.30.Considerate le condizioni meteo e la distanza dalla Grande Porta, decidiamo di consumare la colazione al sacco e rientrare. Dopo una discesa altrettanto affascinante torniamo alle auto soddisfatti per una aver trascorso una stupenda giornata.