Raccontatrekking 2009

13 dicembre 2009: Monte Monzone di R. Motta

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Il Monte Monzone è alto 1.051 metri, meno della metà dell’altezza di Serra delle Ciavole, eppure questa montagna non ha niente da invidiare ai “giganti” della Catena del Pollino. Munzunu, in dialetto moranese, è un magnifico balcone panoramico sul versante meridionale delle maggiori cime del Massiccio del Pollino, si erge al centro della Valle del Coscile tra le Piane di Morano e quelle di Castrovillari, dal versante est, quando lo si osserva dall’autostrada, appare come un seno di donna, mentre quando ci si posiziona a Sud-Est la sua forma diventa una piramide perfetta con al centro la profonda cicatrice delle fratture rocciose di vetta. È una montagna semplice Monzone, non si pavoneggia come le maestose cime che le stanno di fronte dove d’inverno le nevi scintillano e d’estate le faggete rigogliscono. Sta lì Monzone, quasi mai innevato, circondato da pochi alberi, sempre ricoperto di macchia mediterranea che ogni estate puntualmente viene bruciata da vandali senza scrupoli. Una montagna vicina, a “portata di piedi”, e forse per questo ignorata. Eppure per chi c’era domenica 13 dicembre, per chi ne ha calpestato le sue lunghe pendici questa “facile” montagna ci ha svelato un segreto: ogni cuore ha bisogno di amore, amore non solo inteso come sentimento verso la persona che si ama o verso un proprio caro, familiare o figlio che sia, ma Amore come bisogno primario di essere innamorato della vita. Così come impieghiamo il tempo a salire una cima allo stesso modo l’Amore entra nei nostri cuori e per chi si è perso lungo la strada della vita qualsiasi sentiero che porta verso una montagna è un’esperienza forte ed intensa che può far ritrovare. Ritrovare nella natura l’innocenza perduta.

22 novembre 2009: Anello del torrente Peschiera - di Adalberto Corraro

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È la mia prima escursione come organizzatore per la Sezione CAI di Castrovillari e non vi nascondo che sono emozionato. Il programma prevede l’anello del Torrente Peschiera, nella montagna di basso di Viggianello (Pz). Ci ritroviamo alle 9,30 in località Piano della Croce (900m) dove lasciamo le auto. Siamo un gruppo numeroso tra cui due partecipanti d’eccezione: Daniele e Giuseppe (entrambi di 7 anni). Il primo già abbastanza avvezzo ed esperto avendo già consumato numerose ed anche difficili escursioni. Il secondo, meno esperto, mostra però già il piglio giusto che gli consentirà di fare molta strada. Il clima è veramente gradevole con una temperatura insolita per fine novembre, circa 15°C. Coadiuva l’escursione Perrone Luigi socio nonché storica Guida del Parco. Il primo tratto serve giusto a scaldarci i muscoli, 1 km circa di asfalto per poi inoltrarci nel bosco di faggio e nei continui saliscendi. Dalla località SantaLena, precisamente dalla sorgente, imbocchiamo un antico tratturo che costeggiando l’omonimo torrente ci conduce fino al Torrente Peschiera. Il Torrente nasce nel comune di Castelluccio Superiore, alle pendici del Monte Zàccana, versante NordOvest del Parco, per poi congiungersi con il Frida nei pressi di Bosco Magnano per affluire al Sinni. Percorriamo un antico sentiero che veniva utilizzato dai pastori e dai contadini della frazione Pedali di Viggianello in viaggio verso i paesi di Latronico, Senise, Francavilla per barattare cesti in vimini e patate per olio e stoffe. Il percorso in alcuni tratti è molto insidioso, è un continuo saliscendi lungo la sponda sinistra del fiume in una vegetazione molto rigogliosa tra faggi, ontani, cerri, agrifoglio e felci. A differenza di molta parte della Montagna di Basso, questo tratto, proprio perché impervio, non è molto antropizzato ed è ancora l’habitat naturale delle trote fario, anfibi, della salamadra dagli occhiali e della lontra, animale in via d’estinzione. La parte più difficile del percorso arriva prima del pranzo, nel punto in cui la calma dell’acqua viene interrotta dalla forra di Petrarizza. Qui la pendenza è elevata e il terreno ricoperto da un tappeto di foglie è molto insidioso. Si improvvisa una simpatica cordata per permettere il passaggio a tutti. Arrivati a Fontana Chiaito, ci riposiamo su comode panche in legno consumando il nostro pranzo. Manca ancora metà percorso. Ripartiamo per non rischiare di tornare al buio e senza torce. Da qui in avanti il torrente scorre calmo e le tante foglie cadute a volte ne nascondono le acque. Proseguiamo fino ad abbandonarlo, giusto qualche chilometro prima della sorgente. Ci inoltriamo nel bosco dove ai faggi si mescolano cerri secolari scampati per fortuna ai continui disboscamenti che hanno interessato negli anni l’area. Uno scoiattolo ci saluta prima di abbandonarsi all’inverno nell’abbraccio dei faggi. Arriviamo a Pastoroso. Alle macchine manca ormai poco. Prima di ripartire brindiamo con un bicchiere di vino rosso con un assaggio di salumi per ringraziare tutti i partecipanti. Non abbiamo scalato vette, non abbiamo conquistato montagne, ma abbiamo avuto l’abilità di percorrere e scoprire un vecchio sentiero ormai dimenticato da tempo. Grazie a tutti, soprattutto agli instancabili soci-mascotte, Daniele e Giuseppe.

15 novembre 2009: Monte La Destra di Luigi Perrone

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Era un pò di tempo che non vedevo gli amici del CAI di Castrovillari, impegnati in un grandioso lavoro per il Parco del Pollino, la segnatura di 34 sentieri (circa 230 km), che darà finalmente anche a questa grande area una rete sentieristica degna di questo nome. È con grande piacere che ci incontriamo allo svincolo autostradale di Mormanno, salutandoci affettuosamente, e scambiandoci fatti e notizie. Ancora in auto, ci avviamo verso il punto di partenza della nostra escursione odierna che già scorgiamo di fronte a noi sulla strada che stiamo percorrendo. Attraversando il sito della Grotta-Riparo del Romito, scendiamo fino al Ponte di Legno sul fiume Lao, costruito nel 2000, e che rappresenta un binomio perfetto tra grande opera e utilizzo da parte degli abitanti di Campicello, senza intaccare la bellezza naturale di un luogo incantevole, utilizzato come stazione di arrivo sul fiume del rafting. Arrivati a Croce S. Stefano o Pedali, il nostro punto di partenza, ci si prepara per affrontare l’ascesa al Monte, i partecipanti di oggi provengono da varie territori, oltre al gruppo di Castrovillari, c’è Spezzano Albanese, Rotonda, Mormanno, Morano Calabro, Potenza, Trebisacce, Taranto e Brindisi, tutti soci della sezione della città principale del Pollino. Il percorso per la cima di Monte la Destra non presenta difficoltà, si snoda su una vecchia mulattiera ora strada sterrata che serviva da collegamento in tempi passati con i paesi della costa tirrenica. Ai più sconosciuta e considerata, a torto, una “cima minore”, fa parte del Gruppo del Monte Ciagola-Gada posta sulla destra orografica della Valle del Fiume Lao. L’escursione risulta tranquilla e rilassante, nonostante c’è un discreto dislivello, siamo partiti da m 550 per arrivare a 1290, ma oggi con noi abbiamo una mascotte, Giuseppe di appena 7 anni, che ha compiuto la sua prima difficile ascesa senza fiatare. D’altro canto, invece, due soci scalpitanti hanno preferito un percorso più lungo e con più dislivello. Giunti alla base della montagna in una piccola aia comune dove tanto tempo fa veniva macinato il grano con grosse pietre trainate da buoi, si apre una visuale inedita su tutti i Monti dell’Orsomarso a partire dal Caramolo, al Cozzo del Pellegrino, alla Mula, alla Montea, per citare le cime più conosciute. L’ultimo tratto ci porta sulla cima vera e propria di Monte La Destra che ci riserva un panorama mozzafiato a 360 gradi. Tutti i monti dell’Orsomarso fino a vedere le coste di Diamante, Cirella e Scalea, tutto il percorso del fiume Lao dalla Valle del Mercure allo sbocco sul mar Tirreno, l’intero massiccio del Pollino con le cime sopra i 2000 m innevate, il Golfo di Policastro con il Cristo di Maratea, il Monte Sirino, la Spina, Zàccana, fino al Monte Alpi e Raparo. Una visione superba grazie anche alla giornata mite, quasi primaverile. In effetti la sosta dura più del previsto, perché riparati dal vento e baciati dal sole ci concediamo qualche minuto in più. Anche quest’oggi si sono rinsaldate vecchie amicizie, create nuove in un armonia di gruppo che ci è stata testimoniata non esserci in altri consessi, e che fa si che i rapporti umani possano prevalere su altri tipi di interessi. E per riaffermare ciò sulla strada del ritorno siamo ospiti di una nostra socia che non ha potuto partecipare all’escursione e che con grande affetto ci fa trovare pronti caffè e bocconotto per chiudere in dolcezza questa bella giornata.

1 novembre 2009: Trekking urbano a Castrovillari di Laura Giannitelli

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Nella vale del Coscile lungo gli antichi tracciati viari.

Novembre ci regala una prima domenica calda e luminosa, ideale per il nostro percorso di trekking urbano. Obiettivo del trekking urbano è quello di percorrere, camminando di buon passo, itinerari urbani inconsueti per esplorare luoghi che spesso sfuggono perché insoliti, nascosti, meno conosciuti. Ci diamo appuntamento in largo San Giuliano, sulla sella che separa il colle di S. Maria del Castello dal colle del Lauro. L’idea di coniugare sport, paesaggio, storia e natura ci convince in molti a trascorrere la soleggiata mattinata immersi nella “natura urbana”. La natura è dentro la città, a quattro passi da casa nostra e racchiude tracce antropiche passate e presenti. Basta solo raggiungere il centro storico e scendere giù nella valle! Sulla piazza dell’antico borgo ci ritroviamo in trenta, vecchi e nuovi amici. Tra noi c’è la più giovane trekker del gruppo: una bimbetta che la mamma ha voluto portare con sé in questa passeggiata nella natura. La mia esperienza con gli “Amici della terra club del Pollino ONLUS” (associazione che ha fatto rivivere alcuni antichi sentieri della valle del Coscile, percorrendoli e tracciandoli come sentieri naturalistici, sulla mappa di Castrovillari “Turista fai da te”), mi facilita nel proporre e guidare questo percorso nel quale mi è preziosa l’insostituibile collaborazione di Gaetano. Dopo quattro piacevoli chiacchiere al sole, lasciamo largo San Giuliano (dove ritorneremo risalendo la via di San Rocco) e imbocchiamo la via di Fiumicello. Fino al XIX secolo, chi transitava dalla valle del Crati a Campotenese utilizzava queste due vie di comunicazione e attraversava l’abitato di Castrovillari. Entrambi i tracciati viari costeggiano il colle di S. Maria del Castello, sito della “Civita”, l’antico borgo fortificato che i Normanni assediarono nel 1064. Di questo antico abitato restano solo frammenti di ceramica policroma, resti di intonaci affrescati, pochi ruderi. Nel corso dei secoli, infatti, migrò dal colle di Santa Maria del Castello al colle del Lauro, sul quale si assestò definitivamente nel XVI secolo. La via di Fiumicello è un largo sentiero sterrato che si affaccia sulle pareti ripide e scoscese della valle stretta e profonda in cui scorre il torrente (Fiumicello) e dalla quale si gode di splendide visuali paesaggistiche. A metà tracciato, risaliamo sul colle dove sopravvive ancora un consistente tratto dell’antica cinta muraria di fortificazione, segnato dal tempo e dall’incuria. È inevitabile chiedersi perché non si intervenga prima di perderne completamente traccia! Ritornati giù sulla via ci inoltriamo su uno stretto sentiero, nella vegetazione, per ritrovare una delle tante grotte eremitiche presenti in loco e abitate (VII-VIII secolo) dai monaci di lingua greca e rito greco, affluiti in Calabria per sfuggire agli arabi e alla persecuzione iconoclasta. Alla base del colle di Santa Maria del Castello, la via di Fiumicello si congiunge alla via di San Rocco, affacciata sulla vallata ampia del fiume Coscile. La percorriamo in direzione della confluenza del Fiumicello con il Coscile e oltrepassata la cappella di San Rocco, arriviamo a casa del “Gigante della valle”. Di chi si tratta? Di un monumentale pioppo nero che vegeta qui da decenni, salvato, grazie all’intervento di associazioni ambientaliste e cittadini, dagli attacchi di chi, ritenendolo un fastidioso ingombro, ha tentato più volte di abbatterlo. Riprendiamo il cammino lungo il sentiero che costeggia il fiume Coscile tra la vegetazione spontanea che, a tratti intervallata da qualche raro orticello, ha preso ormai il sopravvento. Nei secoli passati gli appezzamenti di terreno del fondovalle ed i terrazzamenti dei versanti sovrastanti erano intensamente coltivati. Il gelso, la vite, l’olivo erano le colture tipiche del giardino alternate agli alberi da frutta, agli agrumi, alle verdure, al cotone, al lino, alla canna da zucchero. Sulle rive del fiume erano dislocati mulini, gualchiere, telai per la lavorazione della seta, calcinare. Lungo il sentiero, circondati dall’equiseto, troviamo i ruderi di un antico mulino ad acqua mentre lo sguardo, costantemente, risale lungo la parete della vallata fino a scorgere gli antichi quartieri della città: Pantanello, San Vito, Rocca Poverella, Giudeca. Contravvenendo alla regola del trekking urbano, che vuole una camminata a ritmo sostenuto, ci siamo concessi il piacere del ritmo lento prendendoci il tempo necessario per godere di un percorso dimenticato o al quale, in alcuni tratti, abbiamo riservato qualche volta il tempo frettoloso di un passaggio in auto.

4 ottobre 2009: Stage di arrampicata di I. Camodeca

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Arrampicoterapy

“Arrampicare, farlo per la prima volta, sentire quella sensazione di vertigini e vuoto...

aver paura di cadere e poi aver paura di non riuscire più a farlo;

posar la mano sulla roccia fredda e riunire le forze del proprio corpo in un'unica spinta che ti faccia giungere ad un altro “fixe”:

un passo in più verso la meta .

Sentire quella strana sensazione d’ascesa...

quella voglia irrefrenabile d'arrivare a catena...”;

E' questo quello che ho visto negli occhi di coloro ai quali ho fatto “sicura”, bambini, ragazzi che han dovuto misurarsi con loro stessi e qualcosa che non avevano mai provato prima…

si, perché l’arrampicare è una lezione di vita,

è giungere fino al limite delle proprie forze, e porre il proprio io in sfida con se stesso,

la roccia è solo il mezzo per superare i difficili passaggi della propria esistenza...

Arrampicare non è una sola questione fisica, ma è congiunzione di pensieri riuniti in un tripudio di sensazioni che si modificano ad ogni passaggio, ad ogni nuovo movimento…;

e poi, quando finalmente si ritorna giù,

un sorriso profondo di vincita, di gratificazione, appare sul viso,

e tutto questo gratifica anche me...

Riuscire a far provare agli altri quello ch’io stessa provo ..

riuscire a trasmettere la passione per qualcosa che credo debba diventare strumento di vita...

13 settembre 2009: Ecobike di E. Iannelli

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Un folto numero di appassionati di mountain–bike, ha partecipato domenica 13 settembre al “9° Ciclotrekking nel Parco Nazionale del Pollino”, organizzato dal Club Alpino Italiano con il patrocinio dell’Ente Parco del Pollino. Una esperienza entusiasmante per i tanti appassionati di mountain–bike. Il percorso, effettuato parte in bici e parte a piedi (da cui ciclotrekking), si è sviluppato nei territori dei comuni di Saracena e di Mormanno. Da Piano Novacco a Piano Masistro ed attraverso Piano Campolongo ha raggiunto il Lago Pantano consentendo a tanti amanti della bici e della montagna di scoprire un facile ed affascinante itinerario attraverso boschi e sentieri, dove praticare una nuova specialità sportiva che con l’ambiente naturale montano si integra totalmente. Durante il percorso numerose sono state le tappe che hanno consentito ai bikers di ammirare e godere degli straordinari ambienti naturali attraversati. Sosta obbligata sui piani di Masistro per ammirare i faggi monumentali e il panorama sulla catena del Pollino; al Rifugio Biagio Longo e per finire al Lago Pantano dove, sull’attrezzata area pic-nic, è stato possibile degustare la colazione al sacco predisposta dagli organizzatori senza disdegnare qualche prelibatezza di prodotti tipici preparata dai partecipanti stessi. A tutti è stata consegnata la ormai consetua t-shirt a ricordo della manifestazione. Il gruppo, con una rilevante presenza gioiosa di donne e bambini, si integrava piacevolmente, facendo si che un momento di sport e di conoscenza dei nostri beni naturali, fosse anche un momento di amicizia e stima reciproca. Il successo dell’iniziativa, manifestato da tutti i cicloamatori alla fine della stessa, è stato determinato, dall’aver fornito agli stessi tutti i servizi necessari (trasporto, assistenza tecnica, medica, colazione al sacco), che hanno reso la partecipazione alla portata di tutti. Prossimo appuntamento per tutti gli amanti della mountain-bike il prossimo 28 settembre con la tappa del PedalaItalia (percorso in mountain-bike partito da Trieste che percorrendo tutta l’Italia giungerà a Reggio Calabria) che attraverserà il Parco del Pollino con partenza da San Severino Lucano e arrivo al Rifugio Biagio Longo in contrada Campolongo di Mormanno. Info: 334.1005054

6 settembre 2009: Monte Coccovello di M. Custodero

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Tempo fa, nelle mie regolari "spedizioni" in Orsomarso alla ricerca di nuovi sentieri, possibilmente non ancora vandalizzati dalla maniaca ascia del signor F, attraversando la valle del Noce, mi aveva colpito una montagna che, all'ombra del più imponente gruppo del Sirino- Papa, se ne stava tutta soletta in disparte. Più volte mi ero ripromesso di visitarla, ma ho sempre rimandato, ogni volta scoraggiato dai miei compagni alle volte un pò snob che -troppo maniaci delle alte quote e della escursione in montagna come dimostrazione di prestazione fisica- liquidavano il Coccovello come montagna insignificante. Finchè non ho trovato il compagno giusto, Antonio, anche lui come me incuriosito da questa strana montagna. Insieme abbiamo esplorato il Coccovello a più riprese (anche per identificare bene i sentieri, che sulle cartine sono totalmente assenti). Non ci siamo pentiti. Il Coccovello è una montagna "gentile", estrememente panoramica e adatta a tutti. Una montagna-scuola, adatta a chi sta cominciando, o anche a chi semplicemente vuole farsi una romantica escursione (i tramonti dalla vetta sono spettacolari). Per questo, quando il presidente ci ha chiesto di proporre una gita, Antonio ha subito colto l'occasione: andiamo sul Coccovello! Infatti l'asso nella manica del Coccovello è appunto quello di essere una lunga balconata sul mare, con vedute che, nelle belle giornate, spaziano dal golfo di Policastro fino alle isole Eolie. Ma il Coccovello, lungi dall'essere una montagna banale, è molto di più. La morfologia superficiale della zona altimetricamente più alta è stata in quest'ultimo decennio oggetto di studio e di ricerca di geologi, geomorfologi e speleologi. La presenza di un numero elevatissimo di doline in pochi chilometri quadrati ha fatto gola a quanti hanno deciso di prendere in esame il carsismo del monte Coccovello, primi fra tutti gli speleologi. E su di esso è stata scritta anche una monografia. Ma torniamo alla nostra escursione. Fissato l'orario dell'appuntamento ci siamo trovati all'uscita di Lagonegro sud della SA-RC e da lì abbiamo proseguito per la nostra destinazione che abbiamo raggiunto in poco tempo. Scesi tutti gli escursionisti, le auto sono state portate più in quota e parcheggiate nel punto terminale della gita (questo sia per avere più tempo a disposizione, che per evitare di dover percorrere l'ultimo tratto dell'escursione su stradella asfaltata). Quindi, si parte. Il percorso, inizialmente una stradella sterrata che ben presto diventa sentiero, compie un lungo traverso in leggera salita, da un lato all'altro della montagna. Notiamo subito una notevolissima antropizzazione, con improvvisati ruderi-masserie, vacche allo stato brado e un rifugetto in muratura adibito a gabinetto per le vacche (vabbè...). Il sentiero, alla faccia delle vetuste cartine, c'è ed è evidentissimo oltre ad essere accompagnato da abbondanti frecce di vernice rossa. Negli anni passati (non so quanti, ma sicuramente più di 10), il comprensorio del Monte Papa e del Coccovello erano stati oggetto anche di una dozzinale quanto incompetente "tabellatura" di sentiero i cui unici resti sono dei vetusti cartelli direzionali in legno. (Ho detto anche il monte Papa, perchè anche lì è presente la stessa tipologia di cartelli che da Varcovalle indicano il tracciato per il Sirino e da questo, da un lato fino alla località Conserva di Lauria e dall'altro fino alla Madonna del Brusco, ma così distanti tra loro che incoraggiano più una caccia al tesoro che una escursione!). Siamo sul versante nord del Coccovello, versante boscoso, e quindi la prima parte dell'escursione è al coperto, il che non guasta vista la giornata calda e la quota di partenza bassa (700m circa). Dopo qualche ora il sentiero approda finalmente sul crinale in prossimità del Coccovello Basso dove si apre uno splendido panorama sulla costa calabro/lucana. Da questo punto abbandoniamo il sentiero e cominciamo il nostro itinerario di cresta che in circa 2 km di saliscendi -senza percorso obbligato- ci porterà in vetta. Qui il gruppo prosegue in ordine sparso, ognuno alla ricerca del posto migliore per foto ed osservazioni, ma non c'è fretta. So che il percorso non è lunghissimo, quindi, va bene così. Il sole che fa capolino tra le nuvole è mitigato da una piacevole brezza. Speriamo bene. Le nuvole sono comunque alte e non tolgono la visuale. Oggi c'è foschia, ma il panorama si gode lo stesso. E vai con le foto! Tra una chiacchiera e l'altra facciamo tutti i saliscendi e ben presto siamo sul pianoro sommitale dove potrebbe tranquillamente atterrare un Cessna (la vetta lì appresso è un punto quasi insignificante). Il gruppo di testa è scomparso. Lo ritroveremo "appollaiato" all'altro capo del pianoro nel punto più estremo prospicente l'insenatura di Sapri. Che colpo d'occhio fantastico! Dopo la pausa pranzo le nuvole si addensano sempre più minacciose. Antonio consiglia di riprendere il cammino. Foto di vetta e via. Scendiamo in fretta nella direzione opposta verso il sentiero che ci porterà a Serra del Tuono dove ci attendono le auto. Cerchiamo di avere un passo sostenuto visto che le nuvole sembrano voler fare sul serio. E infatti siamo a circa mezz'ora dalle auto quando, arriva la pioggia. Per fortuna il manto boschivo ci protegge e ci auguriamo che finisca presto. Ma dopo un po' siamo costretti a tirar fuori le giacche impermeabili. Poco male, ormai siamo quasi arrivati. L'acquazzone comunque termina presto e anche le auto sono vicine. Ci voltiamo verso la vetta: è coperta da un manto nuvoloso che fa da tappo. Beh, è andata proprio bene. Tutti in auto. Sulla strada di ritorno ci fermiamo brevemente a visitare i due laghetti artificiali di Rotale notati dalla vetta e spronati dai nostri carissimi amici di Nemoli, concludiamo la nostra giornata con un brindisi collettivo nel grazioso paese. Sursum corda! e ... alla prossima!

19 luglio 2009: Anello del Rosa (Santuario del Pettoruto - Artemisia – Cozzo Rondinella – Fiume Rosa – Santuario) di Mimmo Filomia

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Questa domenica, mare o monti? L’escursione è in controtendenza rispetto all’orientamento generale che in questo periodo predilige la via del mare. Noi, invece, non ci facciamo condizionare. Senza togliere al mare i benefici che apporta al fisico! Non possiamo che cedere all’invito della frescura del bosco e delle acque limpide del fiume Rosa che si lascia accompagnare, nel suo corso fin sotto il Santuario della Madonna del Pettoruto. Nel corso della vita, trascorrere alcune giornate in un ambiente totalmente diverso da quello abituale è riepilogativo nei riguardi delle proprie idee. È una buona medicina consigliata dalla nostra guida V. Maratea, per una pausa di riflessione rilassante, confortata anche dalla bellezza naturale dei luoghi, per stare spontaneamente assieme a chi ne condivide le sensazioni. Ti accorgi cosi che per fare stop and go, non è necessario respirare l’aria sopra il monte Bianco o l’Himalaya. Ci va bene respirare l’aria di casa nostra, pura e salubre, restituita dalla montagna selvaggia e lussureggiante del sistema montuoso dell’Orsomarso. L’area che ci ha visto protagonisti si sviluppa attorno alla valle del fiume Rosa, tra la Montea alla destra e quello della Mula e Pietra dell’Angioletto a sinistra. In mezzo, il bastione di arenaria di circa mille metri, panoramico di Cozzo Rondinella (alias Renella), che ci farà scendere nel fiume per completare il periplo della montagna, in cui rimane incastonato il Santuario del Pettoruto. Il passaggio da piano Campicello, ci restituisce la Montea in formato olio su tela in tutto lo splendore dei colori dell’iride manipolati dalle mani sapienti di un pittore naturalista. La zona è nota per famosi reperti naturalistici (non a caso vi transita il Sentiero Italia) che caratterizzano la toponomastica dei luoghi, per effetto dell’azione erosiva. Additiamo lungo il percorso, Pietra Pertusata, la Tavola dei Briganti, Due Dita, il Castello della Rocca. L’ escursione parte dal Santuario del Pettoruto. Dopo un breve tratto iniziale in salita, attraversiamo i resti del sito panoramico di Artemisia, dapprima vedetta militare sulla sottostante via istmica fra due mari poi monastero Bizantino. Il camminamento, poi, del tratto iniziale lungo il fiume, che nasce dal Montalto è un continuo divertimento fra i sassi levigati, ed alberi inchinati dalla furia delle piene. Passerelle naturali ci costringono divertiti a saltare le acque cristalline che per effetto del carsismo, riemergono o si raccolgono nell’alveo, restituite dalle pareti con curiose cascate. La più grande e ammirevole è quella dei Pisciuottuli, il cui frastuono riempie la vallata ma dà anche un senso di freschezza naturale corroborante, nel fisico e nel morale. Un discorso a parte merita la cascata del Savuco; con il suo salto delicato svuota l’anfora nascosta nel ventre del monte sovrastante…Ma ahinoi… Le ninfe, spaventate dal progresso ci hanno ceduto il posto! Il luogo è altresì attraente e misterioso nei pressi dell’Antro Mascherato. È una gran parete rocciosa levigata color ruggine a forma di strega ammonitrice, resa tale dall’insistenza del lavorio dell’acqua, per la gioia dei savi sui creduloni a difesa dell’oasi fluviale, incontaminata.

7 giugno 2009: Colle Impiso - Serra delle Ciavole. Intersezionale con il CAI di Avellino di Rossella Alois

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È splendido questo mattino di Giugno e lo è ancora di più perché siamo di nuovo tutti insieme, noi soci del CAI di Castrovillari con gli amici della sezione di Avellino, ad affrontare l’escursione che ci porterà a Serra delle Ciavole, uno dei posti più affascinanti del Parco del Pollino. L’appuntamento è alle 7.30 a Piazza Giovanni XXIII; dopo aver organizzato velocemente le auto, partiamo alla volta di Campotenese, dove ci aspetta il gruppo di Avellino ospite da qualche giorno del nostro Rifugio “Biagio Longo”. Proseguiamo quindi per Colle dell’ Impiso dove, lasciate le auto e illustrato brevemente il percorso che andremo a fare, imbocchiamo il sentiero che senza alcuna difficoltà ci porterà ai piani alti di Vacquarro. Da qui seguiremo la stradella forestale che termina sull’ampio splendido piano erboso del Colle Gaudolino (piccola curiosità: il toponimo “colle” indica un passo e non un’altura come pensano molti). Ci fermiamo un centinaio di metri prima del piano per fare rifornimento idrico alla bella e copiosa sorgente Spezzavummula, chiamata così perché capace di spaccare con la sua bassa temperatura la tradizionale “vummula”, utilizzata per conservare l’acqua. Piccola sosta per scattare qualche foto e prendiamo il sentiero che, tagliando le pendici di Nord/Ovest del Pollino, ci porterà ai Piani di Pollino. Attraversiamo quello che può essere considerato “il cuore” e l’angolo più bello del nostro parco. È uno spazio in gran parte pianeggiante, chiuso tra le più alte cime dei monti; girando lo sguardo si ammira prima di tutto il monte che dà il nome a tutto il Massiccio, poi Serra del Prete, il Dolcedorme, Serra di Crispo e Serra delle Ciavole, tutte le cinque vette al di sopra dei 2000 metri. Frequenti questo lembo del Parco del Pollino e ne rimani affascinato ogni volta. Nei mesi di maggio e giugno questi prati sono rivestiti di crocus, orchidee selvatiche, asfodeli e genziana; il ginepro emisferico (altra rarità di questo Appennino) sfiora con i suoi aghi e le sue bacche la terra, confondendosi col prato circostante. Attorno ai piccoli laghetti che costellano l’ampio spazio, intanto si radunano diversi branchi di cavalli selvaggi, il paesaggio suscita un’alchimia di emozioni che aiutano a raggiungere una sorta di pace interiore: tutti i pensieri della vita cittadina e i piccoli problemi quotidiani sono spazzati via dal vento che soffia accarezzando questo piccolo paradiso dove regna l’ormai rarissimo suono del silenzio. Ogni qualvolta mi ritrovo in questi posti, rifletto su tutti quei fiumi di parole che si sono versati sulla possibilità di costruire piste carrozzabili e seggiovie, che porterebbero fin quassù migliaia di visitatori. Rabbrividisco al pensiero che imprenditori senza scrupoli vorrebbero edificare chalet e villaggi turistici e ridurre così il nostro massiccio ad un banale parco di divertimento coperto di cemento. Abbiamo la fortuna di poter godere, a poca distanza da casa nostra, di paesaggi di una varietà estrema e di grande bellezza, ambienti naturali ancora abbastanza integri di cui dovremmo prenderci cura: un patrimonio per noi e per le generazioni future. Ma vengo distolta da questi miei pensieri da palle di neve che mi lanciano i miei amici; stiamo infatti camminando su lunghe chiazze di neve: non ho ragione quando dico che qui è tutto magico? Giocare con la neve in pieno giugno! Iniziamo a salire superando facili tratti rocciosi tra una moltitudine silenziosa di maestosi pini loricati che conferiscono un aspetto unico a questi luoghi. Confesso che ogni volta che mi trovo al cospetto di questi possenti alberi provo una profonda emozione. Ogni esemplare si presenta con le forme più interessanti e curiose: i loro tronchi mostrano i segni lasciati dai fulmini e osservando l’aspetto sofferto e i rami spezzati ci si rende conto della tremenda forza delle bufere invernali e, in particolari condizioni atmosferiche, dell’accumulo di grandi quantità di galaverna. Ben presto arriviamo alla cima di Serra delle Ciavole (2127m). I teleobiettivi presto cominciano a fumare per le innumerevoli foto scattate: da qui, lo sguardo si stende dal magnifico panorama della Fagosa e alta valle del Raganello fino alla costa ionica, dalla Piana di Policoro al lago di Senise. Senza rendercene conto è arrivata l’ora della colazione. Apriamo i nostri zaini: grande la capacità di tirar fuori ogni sorta di prelibatezza, altro che borsa di Mary Poppins! Ma purtroppo arriva l’ora di riprendere la via del ritorno; fatta una capatina alla sorgente del Frido, riattraversiamo i Piani di Pollino e imbocchiamo il sentiero che ci porterà a Vacquarro. Il sole è caldo (anche se un venticello fresco ci ha accompagnato per tutto l’itinerario) e quindi ci fermiamo ben volentieri alla bella radura di Rummo; scendendo lungo il fondo della piccola valle (sentierino un po’ nascosto tra rocce e arbusti) si raggiunge il letto del Frido sulla cui sponda sgorga la copiosa sorgente di Rummo. Il tempo scorre veloce e a malincuore dobbiamo proprio riprendere la strada del ritorno: i nostri amici dovranno ancora percorrere alcune ore d’auto per essere a casa. Pensate che -soddisfatti ma tanto stanchi per le ore di marcia- ripercorriamo il sentiero camminando silenziosamente? Niente affatto: con entusiasmo discutiamo programmando la prossima escursione, siamo proprio incorreggibili! Raggiunte le auto ci fermiamo alla fontana di Piano Ruggio per salutarci; ma qui (dulcis in fundo) il caro Eugenio C. tira fuori dal bagagliaio vino e pesche per tutti. Seduta in auto, lungo la via del ritorno, ripenso a ciò che lessi una volta in un libro dedicato al Pollino: “…cercate di sentire la natura che vi circonda, di entrare in sintonia con le sue Grandi Forze, quelle del sole e delle nubi, del vento e delle acque, quelle pulsanti di vita del bosco, quelle profonde e misteriose delle rocce e della terra. Con l’abitudine e un pò d’attenzione non è difficile riuscire a percepirle. Se ci riuscirete ogni escursione diverrà fonte inesauribile di forza d’animo, libertà interiore e gioia di vivere…” Alla prossima escursione, e ...buona camminata a tutti!

24 maggio 2009> Giornata nazionale dei sentieri di Mimmo Filomia

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La Giornata Nazionale dei Sentieri, è una manifestazione che vede impegnati i soci volontari delle 489 sezioni del Club Alpino Italiano sulle vie dedicate agli escursionisti, dalle Alpi agli Appennini. Un’iniziativa questa, cui partecipare con slancio, magari aprendosi al mondo esterno per invitarli a sentirsi uniti idealmente alla grande famiglia CAI. La sagra dei sentieri, ha visto la nostra sezione proporsi ripetendo l’esperienza dello scorso anno, vale a dire, abbinare l’utile al dilettevole; facendo cosi coincidere la progressione con la manutenzione della segnaletica sul tratturo. La scelta ha privilegiato un tratto del Sentiero Italia (901) particolarmente frequentato dai pellegrini e non, ogni anno dai primi di luglio. La gestione di questo sentiero, manutenzione, accatastamento e visibilità in rete, spetta alla nostra sezione che ne cura la percorribilità da Passo dello Scalone, al Santuario Madonna del Pollino. Lungo i circa 80 km di sentiero, si esplorano i borghi con gli ambienti circostanti segnati dalla pratica della pastorizia e boschiva. Si incontrano Santuari, Monasteri, ruderi, fortini su punti panoramici associati a vie istmiche; ma anche zone boschive e selvagge, per lunghe scarpinate, come quella scelta oggi tra la Scaletta del fiume Frido e le pendici del Santuario. In questa giornata primaverile e di risveglio della natura, l’impegno del CAI è quello di non lasciare mai solitari gli ambienti montani, di rispettarli e di frequentarli seguendo la traccia che spesso coincide, con quella percorsa dai nostri antenati. La giornata voluta dal CAI nazionale ha lo scopo di farci sentire idealmente vicini con tutti i soci anche se ci separano picchi, vette, guglie, intervallate da praterie e boschi. Essa, si combina con il periodo dell’anno in cui la natura si schiude per iniziare il suo ciclo vegetativo sperando senza cattive sorprese! Vale lo stesso anche per i più piccoli del regno animale, come la Salamandrina dagli occhiali, che abbiamo intravisto e scortato sulle sponde del fiume Frido, le cui acque sono ingrossate dalle disgelanti nevi ancora persistenti sul Pollino. Allegoricamente con la primavera, c’è anche il risveglio degli escursionisti che non vedono l’ora di scrollarsi di dosso l’inverno, per immergersi a pieni polmoni in spostamenti pedestri adeguati e sicuri nella natura incontaminata e ristoratrice del nostro habitat. Buone progressioni a tutti, sui sentieri!

17 maggio 2009> le meraviglie del Monte Cervati di Mimmo Pace

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Sassano e Monte San Giacomo, due paesini occhieggianti sul verde Vallo di Diano, annunciano le prime asperità del M. Cervati (1898m), che svetta solitario sul Parco Nazionale del Cilento. La orribile strada bianca, lunga circa 20 km, che da poco oltre il paesino di Sanza serpeggia risalendo la fiancata Sud di questa montagna fino alla sua sommità, violandone la superba bellezza e il fascino, induce noi del CAI di Castrovillari, che aborriamo e deprechiamo simili brutture, partorite da folle istinto “umano”, per asservire e sfruttare fino all’inverosimile le risorse della natura, ad esplorare e fruire l’opposto versante, ancora sorprendentemente ammantato di secolari, verdissime selve, ricco di acque cristalline, che corrono fragorose a valle a creare il Bussento ed il Calore. Un ripido sentiero in viva costa, tra rivoli e cascatelle, risale il misterioso “Vallone dell’acqua che suona”, sfociando più a monte in una ombrosa e placida pista forestale, che si insinua e percorre il solenne “Bosco dei Temponi” fino ad una caserma forestale a 1600 metri di quota. Poco oltre, il nostro iter si congiunge al tratto finale dello storico Sentiero dei Pellegrini, che per la nuda pietraia s’inerpica fin quasi sulla sommità della montagna. Attraversiamo ora un vasto acrocoro, ricco di vistose forme di carsismo, un susseguirsi di cime tondeggianti, intervallate da enormi crateri oblunghi, che allo scioglimento delle nevi generano laghetti circolari simili a giganteschi occhi bovini, un angolo di Scandinavia nel Mediterraneo! È ora ben visibile il minuscolo Santuario appollaiato tra le rocce a 1850 metri di quota, dedicato alla Madonna della Neve: fin quassù, il 26 luglio di ogni anno, da Sanza, una pesante statua lignea della Madonna è portata a spalla dai pellegrini, che risalgono l’omonimo sentiero (11 km). Merita un cenno la “Nevera”: un profondo e ciclopico anfratto di natura carsica a (1785 m), distante ancora un buon quarto d’ora di marcia in direzione Ovest. Sul suo fondo le nevi, schermate dalle imponenti cuspidi rocciose circostanti, un tempo permanevano perenni, cosicché, a torso di mulo, giungevano alla corte dei Borboni, e, trasformate in sorbetto, alleviavano gli effetti del caldo torrido, scongiurando rischi di “regali” colpi di calore! Una breve sosta e difilato giù, per tortuose e ripide rampe rocciose, sepolte ancora sotto una spessa coltre nevosa, a visitare la grotta anfratto che ospita la Madonnina, detta appunto della Neve e per ammirare stupefatti, lungo un aereo sentiero, il volto dolomitico del Cervati, torri, denti, guglie e pinnacoli strapiombanti, che incombono maestosi e selvaggi sul sottostante bosco, tinto, ormai, del tenue verde di Primavera. Nel corso dell’ultima glaciazione, a queste altezze, dovettero dimorare i ghiacciai più meridionali della Penisola; la loro traccia è ben chiara, accanto ai fenomeni carsici e un cordone morenico è ancora ben visibile sull’altopiano, sotto il versante Nord. È in Autunno, però, che questa splendida montagna si esprime in tutto il suo fascino, da qualcuno di noi intensamente vissuto in occasione del “preliminare approccio”, imprescindibile per individuare e definire i termini di ogni nuova proposta escursionistica. Per non sottacere i preziosi endemismi botanici e le interessanti presenze faunistiche, le quali si offrono a chiunque si accosti con cautela e rispetto a questa montagna: qui è il regno delle faggete d’alto fusto e del ginepro nano, del garofano delle rupi, della genziana maggiore, della primula a orecchia d’orso, di una impressionante varietà di orchidee, come anche del lupo, dell’aquila reale e del picchio nero. La meraviglia delle meraviglie l’abbiamo però scoperta e vissuta sulla via del ritorno, quasi alla fine del nostro iter, i “Gravittoni”: due profondissime gravi tappezzate di muschi di un verde intenso e brillante, tra cui spiccano cespi di floride felci, assimilabili alla preistorica “woodwardia radicans”. Lecci, faggi, carpini, dai tronchi contorti ed avviluppati nel muschio, convivono con preziosi tassi in un connubio forestale irripetibile. Dal fondo di una grave, si ergono altissime colonne di pietra confluenti a guisa di canne d’organo e macigni, anch’essi rivestiti di muschi, incastrati tra le pareti verticali di anfratti reconditi, dal fondo dell’altra grave si erge un monumento naturale unico, un gigantesco portale di pietra in abito verde, sormontato da un poderoso e impressionante architrave, un ambiente magico e raro, per concludere, assimilabile a quello che ospita i resti delle cambogiane architetture di Angkor! Il piccolo Daniele ammira attonito, si guarda attorno stupefatto, sbigottito, intimidito dalla strana singolarità del luogo ed anche un pochino impaurito, nonostante la presenza del gruppo, forse teme che da qualche angolo segreto possano sbucare da un momento all’altro gnomi o fate. Questo è il Cervati, con così profonde ferite inferte dall’uomo, ma ancor tanto ricco di meraviglie naturali e recessi incantati, assolutamente da rivivere!

10 maggio 2009> Escursione del decennale: Valle Piana - Pollinello di Mimmo Filomia

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Il solito cancello di filo spinato che ci introduce nel sentiero e trattiene le mandrie al pascolo, è aperto; segno questo che la transumanza è posticipata. Questo primo tratto di sentiero, (UCS 921) che porta a Timpone Campanaro, fiancheggia una folta pineta da rimboschimento e s’inoltra fin sotto le pendici dei rilievi da dove si dipartono alcuni sentieri d’altura. Questi salgono dal versante sud calabrese per giungere sul massiccio monumentale del Pollino la cui cima, il Dolcedorme, per buona parte dell’anno innevata, svetta a 2267m facendosi additare dalle numerose popolazioni della Calabria Citeriore. Il sentiero odierno, celebrativo per i primi dieci anni di attività della sezione CAI di Castrovillari è stato prescelto per motivi affettivi nei confronti di questa parte della montagna. I castrovillaresi l’hanno ad un tiro di schioppo dall’uscio di casa. Tutti almeno una volta nella vita hanno risposto al richiamo di visitarla. Una mostra tematica con foto dei luoghi allestita allo scopo, tramanda ai posteri i primi frequentatori. La cosiddetta via dei Castruviddari è una traccia indelebile, penetrativa, lasciata dai nostri progenitori. Si articola per superare dolcemente il dislivello nel bosco che ospita alle quote basse, pini, carpini, frassini, cerri, faggi, biancospini, ginestre, rosa canina. Sulle aree aperte invece, fino a lambire il bordo del cammino in segno d’accoglienza fanno bella mostra di se, in un giardino naturale, fioriture di variopinte orchidee selvatiche, di viole azzurre, bianche e gialle e quella delle invadenti quanto vanitose, margherite. I licheni argentati che riscontriamo su alcuni rami sono il segnale che l’aria è salubre. Nei pressi della “Tagliata” il percorso finisce di essere ombrato per adattarsi ad una cengia scavata nella roccia, donde il nome della località, protetta a valle da muro a secco. Una via primaria frequentata dalle genti dei centri urbani della valle del fiume Coscile che erano soliti recarsi in pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Pollino, per congiungersi e condividere con le genti Lucane una festa venerata tra il sacro ed il profano, quest’ultimo, consumato con canti e balli notturni, a suon di musica folk prodotta in loco, unitamente all’agnello sacrificale. Frequentare questa mulattiera, per noi è un momento d’evasione; non lo è stato per il boscaiolo che ogni mattina la percorreva, attaccato alla coda del suo asino, per giungere a destinazione, selezionare e tagliare legna in modo sostenibile. È stata la via della transumanza, per i pascoli delle terre alte e di commercio a dorso di muli con i paesi oltre i contrafforti. In questi luoghi ci sono anche i segni dell’usanza di raccogliere, pressare e coprire la neve in buche per poi, trasportarla a valle nel periodo estivo. Oggi la capillare viabilità, ha rotto l’isolamento fra i borghi d’Italia; con il risultato che è rimasto abbandonato il vecchio camminamento sulle terre alte (la via breve che univa ora divide). Eccola qua l’utilità del Club Alpino Italiano! Interviene con il suo esercito di soci dagli Appennini alle Alpi, per proporre a ripercorrere tutelare e valorizzare gli antichi tratturi. La velocità ed i tempi brevi, nei quali far rientrare molteplici attività della nostra vita, penalizzano i ritmi lenti con i quali si sta bene ed in sintonia con la natura. Onofrio caro, lo vedo dai tuoi occhi! Vivere una giornata in mezzo alla natura significa anche condividerne la bellezza assieme agli amici, una divagazione che serve ad inquadrare poi i problemi personali, in un’ottica generale più distesa. Quassù, con questa ricchezza di panorami, riteniamo essere per un giorno i proprietari di tutto ciò che ci circonda e coloro che ne hanno consapevolezza, possono coltivare questa illusione, nel rispetto della propria ed altrui fruibilità. Quante volte osservando le nostre montagne ci siamo proposti di visitarle? Forse tutti i giorni! Bene oggi era la volta buona e lo sarà sempre affiancandosi al CAI. Questa mattina però qualcosa di diverso si nota! Forse sarà l’aria primaverile dopo una piovosa stagione? L’aria festosa e coinvolgente del decennale? Certo è che qualche effetto propulsore nelle coscienze il nostro sodalizio lo ha prodotto. “Cammino, ergo sum,” questo mi suggerisce l’effetto che lascia intendere il serpentone multicolore con il suo muoversi gioioso. In questa fase della progressione cresce l’interesse per la vegetazione impegnata a schiudere le sue gemme. Intorno ai 1700m -anche in questo regno- registriamo l’invadenza del faggio in cerca di spazio a scapito del Pino Leucodermis inattaccabile oltre questa quota, che spesso sorprendiamo persistere abbarbicato alle rocce a trarne linfa vitale. Intanto divampa il rossore sulle gote di tutti, cresce anche la voglia trainante di andare sempre più su per vedere laggiù. La cima è un momento esultante per ognuno di noi; specialmente se abbiamo avuto risposte giuste dal nostro fisico e placato la curiosità propositiva dell’oltre la siepe. A questo punto della giornata, che c’è di meglio che consumare la merenda in regime di comunione di beni! Proviamo un’insolita piacevole sensazione a stare seduti su una “pietra miliare” del Parco Nazionale del Pollino, una casa accogliente come la propria, le cui pareti, oggi, non sono le solite, bensì gli orizzonti disegnati ad oriente dal mar Jonio ad occidente dal mar Tirreno nel Golfo di Policastro. Quale regnante può fare meglio di noi! Se consideriamo che le nostre spalle sono protette dalle maestose cime di Pollino e Dolcedorme, con ancora in groppone tanta neve con su un soffio magico di polvere d’Africa? Il consiglio Direttivo promotore dell’escursione ringrazia tutti i partecipanti. In questo scorcio di vita, crediamo di avere dato alla sezione un posto al sole in seno alla grande Famiglia del CAI, recuperando quei 50 anni di tentativi per la costituzione della stessa. Oggi, volontà e tenacia, profusi, ci ripagano con una bell’immagine del sodalizio visibile da ogni dove. Condividiamo con tutti, nel rispetto dei ruoli, l’amore per il bene “montagna”.

3 maggio 2009: Un anello tra la timpa di Porace e la timpa di Cassano di Francesco Bevilacqua

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È perfettamente riuscita, nonostante le avverse condizioni meteo, l’escursione organizzata dai soci Mimmo Pace, noto trekker e scrittore-divulgatore delle bellezze del Pollino, e da Massimo Gallo, uno dei giovani più promettenti dell’alpinismo calabrese, membro del locale Soccorso Alpino, per domenica 3 maggio scorso. L’escursione prevedeva inizialmente una traversata da Colle Marcione a San Lorenzo Bellizzi attraverso la dirupata pendice Est di Timpa di Cassano (lungo la quale i nostri due amici avevano già aperto una nuova, splendida via escursionistica in salita, con una arrampicata finale su diedro di una ventina di metri, della quale lo stesso Mimmo Pace aveva dato conto sulla rivista Apollinea). Purtroppo, le non rassicuranti previsioni meteo (arrivo di forte perturbazione occidentale con piovaschi a metà giornata) ha costretto gli organizzatori ad optare per un anello più breve, anche per consentire al gruppo, in caso di temporale, di raggiungere più rapidamente le auto. Ma ecco la cronaca dell’escursione vissuta dal sottoscritto come aggregato esterno al gruppo (Sezione CAI di Catanzaro). Alle 9 siamo in 15 a partire da Colle Marcione, nell’alta Valle del Raganello: 11 soci della Sezione CAI di Castrovillari, compreso il presidente Eugenio Iannelli, e 4 della Sezione di Catanzaro. Il cielo è terso, appena velato da un po’ di foschia. Mimmo spiega il nuovo itinerario: salita al valico tra Timpa di Porace e Timpa di Cassano attraverso la bella cengia che taglia diagonalmente la parete ovest della prima; salita sul crinale della seconda; discesa lungo il crinale della stessa verso nord; breve ridiscesa attraverso un camminamento-arrampicata sulla destra sulla pendice Est della Timpa di Cassano; visita a quella che d’ora innanzi chiamerò la Parete Obliqua della timpa stessa; tentativo di arrampicata attraverso un diedro di una ventina di metri per ritornare sulla cresta; rientro dalla via normale. Ho avuto il privilegio di percorrere in salita, insieme a Mimmo, Massimo ed altri amici, il dirupato e ripido versante Est della Timpa di Cassano, sotto la Parete Obliqua, alcuni anni fa e di raggiungere proprio il diedro in questione. Quella volta non potemmo arrampicare e concludere il percorso con un anello che prevedeva il rientro dalla via normale che da Colle Marcione scende alla Scala di Barile, perché andò in panne un tizio di Bari che non conoscevamo e che all’ultimo momento si aggregò a noi assicurandoci di avere una grande esperienza di montagna. Per farla breve, il tizio in questione ci impose un ritmo lentissimo in salita e già alle prime difficoltà del terreno, ebbe evidenti attacchi di panico, sicché dovemmo legarlo con una fune e trascinarlo letteralmente a forza di braccia. Naturalmente non fu possibile farlo arrampicare al diedro e non potemmo far altro che rientrare per la stessa via. Ma fu un vero e proprio calvario. Per nostra fortuna erano con noi un paio di giovani del soccorso alpino che, con infinita pazienza, fecero ridiscendere il malcapitato, sempre legato, fin sul greto del Raganello. Con un magnifico sole, dunque, saliamo verso la base di Timpa di Porace e passiamo sotto lo spigolo Ovest dove è una bella via di arrampicata. Poi giriamo a sinistra e saliamo diagonalmente sino a imboccare l’evidente cengia che corre a mezza costa sulla parete Nord-Ovest. Imbocchiamo la cengia verso destra, in direzione dello spigolo e compiamo un lungo, esaltante traverso che ci consente di aggirare tutta la parete rocciosa della Timpa di Porace passando sullo spigolo, girando verso Est e sbucando così sul pianoro sommitale che divide le cime delle due timpe con praterie ed un rilievo minore nel centro. Il sole inonda i prati verdi e fioriti che, insieme al grigio delle rocce calcaree formano un magnifico giardino naturale. Attraversiamo tutta la conca centrale e affrontiamo di petto la salita sulla cresta della Timpa di Cassano, alcuni attraverso un facile canalino, altri arrampicando in scioltezza su paretine facili. Giunti sulla vetta godiamo di una vista a 360 gradi, uno dei panorami più belli del Parco: la catena della Manfriana e del Dolcedorme, le Serre delle Ciavole e di Crispo, la Piana di Sibari, la Timpa di San Lorenzo, il gruppo del Monte Sparviere. Ma sul Dolcedorme, ancora notevolmente innevato, si ammassano minacciose nubi nerastre: la perturbazione sta effettivamente arrivando. Ci affrettiamo, dunque, a scendere l’affilata linea di cresta della Timpa di Cassano verso Nord con una entusiasmante “cavalcata” su rocce, circondati sempre da paesaggi da sogno. Mimmo ci tiene a che raggiungiamo il punto in cui la cresta si estingue su un baratro profondissimo. Ed ha ragione a condurci in quel luogo. Quando sbuchiamo sulla rupe, che lo segna come una pietra miliare, restiamo tutti a bocca aperta, letteralmente basiti di fronte allo spettacolo mozzafiato che si apre dinanzi ai nostri occhi. Sotto di noi la rupe strapiomba perpendicolarmente per diverse centinaia di metri, almeno trecento fin sul sentiero della Scala di Barile e poi almeno altri duecento fin sul greto del Raganello. La Gola di Barile serpeggia in basso, come un orrido dantesco, mandandoci gli echi dei minacciosi brontolii dell’acqua che furoreggia tra i massi. Di fronte s’innalza, come un immenso, acuminato triedro, la Timpa di San Lorenzo, vista da qui ancora più impressionante ed irreale che da qualunque altra angolazione: sembra un gigante intento ad emergere dalla terra per una sorta di primordiale gesto creativo, rimasto però impietrito a causa di un incantesimo. Scattiamo timorosi qualche foto. Inseguiti dal maltempo che arriva sempre più minaccioso, risaliamo per poche decine di metri la cresta e poi caliamo a sinistra lungo uno stretto, zigzagante passaggio tra le rocce, l’unico che consente di superare con una certa facilità la Parete Obliqua. Si tratta di un passaggio agevole nella prima parte ma che ha un ultimo saltino di un paio di metri dove occorre arrampicare. Riusciamo a far scendere abbastanza agevolmente anche i meno esperti, fissando una corda di sicurezza, che raccomandiamo agli amici del Soccorso Alpino di lasciare per il ritorno. Poi traversiamo alla base della parete e, alla prima ripida pietraia che sale verso destra, la imbocchiamo inerpicandoci sino alla base della parete stessa ove è posto il diedro da arrampicare. In attesa che arrivi tutto il gruppo, ci spostiamo sulla sinistra per far vedere agli altri lo sviluppo della via della Parete Obliqua verso il basso: anche questo è uno spettacolo straordinario. Peccato che oggi non si possa scendere e poi risalire a Colle Marcione dalla Scala di Barile. Gli altri giungono con un po’ di ritardo perché hanno fatto un giro più lungo. Il maltempo ci è ormai sopra. Arrivano le prime gocce d’acqua. Ci dividiamo in due gruppi. Alcuni restano al diedro con Massimo per tentare l’arrampicata. Noi, Mimmo e qualcun altro torniamo indietro dal passaggio dell’andata. Dopo i primi passi, si scatena il finimondo. Giungiamo al passaggio che sta piovendo e la roccia è già bagnata. Scopriamo con disappunto che la corda non c’è più. Mimmo va su per primo, io per secondo. Vittorio resta per ultimo per incoraggiare ed aiutare gli altri. La roccia è diventata scivolosissima e arrampicare è divenuta un’impresa, soprattutto per chi non ha esperienza. Ci organizziamo per assicurare gli altri. La situazione è tragicomica: Mimmo si tiene dal tronco di un arbusto e tiene me dalla spallina dello zaino. Io porgo a chi sale un bastoncino. Così facendo riusciamo a metterci tutti al sicuro. Sostiamo in una piccola grotta sotto il crinale. Noi di Lamezia, visto che piove a dirotto, decidiamo di cominciare a rientrare. Mimmo e gli altri di Castrovillari attenderanno un po’ nella grotta per avere notizie degli “arrampicatori” che, a questo punto avranno avuto serissime difficoltà. Partiamo a raffica, sotto una pioggia battente, lasciando appena possibile il crinale, divenuto ora infido per l’acqua che rende scivolose le pietre, e tagliamo diagonalmente verso la pendice erbosa che risale alla sella tra le due timpe. Attraversiamo la conca centrale e scendiamo per la via normale sino a Colle Marcione. Apprenderò dopo, da Mimmo, che anche gli “arrampicatori” hanno fatto ritorno dopo circa un’ora dalla via dell’andata perché era volato via un appiglio fondamentale del diedro e la risalita era divenuta pressoché impossibile. Nonostante la pioggia battente, una volta giunti al rifugio-centro di educazione ambientale di Colle Marcione, i nostri amici incontreranno un nutrito gruppo di tedeschi guidati dalla guida del parco Silvio Carrieri che intendono salire su alla Timpa di Cassano. Pare vogliano stare diversi giorni nella zona del Pollino per vedere quanti più luoghi possibile. È un segnale incoraggiante per il parco e per quanto andiamo dicendo da tempo, cioè che le bellezze naturali di questo territorio rappresentano da sole la migliore occasione di sviluppo sano e duraturo per il territorio.

25/26 aprile 2009: Il sentiero degli Dei di C. Primavera

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Il numero dei partecipanti a questa escursione è stato molto nutrito. Sarà stato il desiderio di trascorrere un weekend all’insegna del divertimento o la curiosità di conoscere questo rinomato Sentiero degli Dei, fatto sta che i partecipanti sono stati ben 70 e le loro aspettative non sono state affatto deluse! Partenza di buon mattino, dopo tre ore di bus siamo giunti ad Agerola dove, zaini in spalla, abbiamo subito imboccato il sentiero -in ottimo stato e di media difficoltà- che ci ha condotto fino a Positano. Lungo uno stretto tracciato roccioso tra macchia mediterranea e boschi di lecci e querce, ma anche vigneti e castagneti, si incede alti sul mare fino a Colle la Serra (575m). Qui inizia una zona più selvaggia, il vallone di Grarelle, con molte grotte e profonde insenature, per giungere infine a Positano attraverso la discesa di quasi 2000 scalini! Il lungo serpentone degli escursionisti del CAI Castrovillari insieme agli amici del Gruppo Speleo del Pollino ha avuto modo di apprezzare il favoloso panorama su paesaggi costieri e montani da Praiano a Capri sino al Cilento. Sicuramente il senso di percorrenza -da Est verso Ovest- ha permesso di gustare a pieno la bellezza della penisola e l’isola di Capri, nonché l’isola di Li Galli dove la leggenda narra che qui le Sirene tentarono Ulisse. La pericolosità di questo tratto di mare è rinforzata dalla presenza di numerosi relitti, che sottolineano a tal proposito il mito delle Sirene. Giunti a Positano visita all’affollatissima via centrale del borgo prima del rientro in hotel. Domenica 26 aprile visita alla Grotta dello Smeraldo e ad Amalfi. La Grotta dello Smeraldo, ammirata attraverso il breve traghettamento di un logorroico indigeno Caronte, è formata da una cupola alta circa 24 m, lunga 60 e larga 30 e deve il suo nome e la sua fama alle tonalità smeraldine che assume l’acqua per via della luce solare filtrata attraverso una fenditura sottomarina. In tempi remoti era posta al di sopra del livello del mare e al suo interno si sono create numerose stalattiti e stalagmiti, formando colonne alte fino a dieci metri. In seguito ad un fenomeno di bradisismo, il suolo della grotta si è abbassato, facendola sprofondare. Nel 1956, sul suo fondale è stato posto –da una troupe RAI- un presepe subacqueo. Per finire, Amalfi, repubblica marinara d’eccezione. Visita alla magnifica Cattedrale, al Chiostro e alla Cripta ma soprattutto alle sue antiche viuzze e ai negozietti del centro dove è stato possibile acquistare simpatici nonché gustosi souvenir. Prima di partire con l’aliscafo alla volta di Salerno, “storica” foto di gruppo sulla scalinata della Cattedrale. Dulcis in fundo, durante la traversata, lo splendido spettacolo dei paesi della costiera Ravello, Minori, Maiori, Erchie, Vietri, davvero un incanto!

19 aprile 2009 > 5ª Passeggiata alla Madonna del Riposo di Mimmo Filomia

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La 5ª edizione della “pasquetta” dei Castrovillaresi, inserita nel programma delle attività del nostra associazione per valorizzare e rigenerare sul territorio le manifestazioni popolari e spontanee sopite nel corso degli anni, ha avuto luogo, nonostante un tempo primaverile all’insegna dell’incertezza. La continuità della manifestazione è salva grazie ad un nutrito gruppo di escursionisti pellegrini, che, lasciando a casa la pigrizia, ha raggiunto il rudere della Cappella di S. Maria del Riposo per le riflessioni religiose. Successivamente, sollecitato dalla presenza sporadica del sole, ha raggiunto, attraverso un facile e comodo sentiero, la cima di Monte S. Angelo, destando gioia e meraviglia incontenibile fra i partecipanti quasi increduli per la bella esperienza. La cima (794m), che mal sopporta, mortificata, due pannelli telefonici obsoleti rappresenta un avamposto aereo su un vasto panorama il cui orizzonte abbraccia mare e monti. Rimane il luogo ideale, una finestra da cui salutare con un abbraccio la Calabria per ricevere un simbolico bentornato o per conservarne un ricordo interiore sussurrando un affettuoso arrivederci. La giornata ci ha consentito di gustare le leccornie pasquali, un po’ di tutto e di meglio per tutti, ampiamente onorate e soddisfatte! E per quanti invece non hanno potuto partecipare alla passeggiata sul monte? Il monte (allegoricamente) è sceso con l’atmosfera festosa e le impressioni degli escursionisti nelle case degli ascoltatori, grazie alla diretta con Antonio Pandolfi di Radio Nord Castovillari. L’emittente locale –che ci segue ormai da più anni- è sempre in linea con le manifestazioni che esaltano le peculiarità legate al nostro territorio; alcune delle quali nell’immaginario collettivo, a torto, sono credute superate e dimenticate per l’avvento di un mondo moderno, frenetico, artificioso, a danno della perdita d’identità. Per fortuna, oggi si registrano segnali in controtendenza di flussi turistici alla ricerca di ambienti genuini, sani, confortevoli ed originali. Il sentiero è un motivo per raggiungere la meta, quando la meta è un motivo per essere raggiunta!

15 marzo 2009, Cozzo Palumbo – Pino di Michele – Serra Dolcedorme di Salvatore Franco

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“…a chi lo racconto quel che stò vivendo?” Potrebbe bastare questa frase, a racchiudere tutte le emozioni che lungo la salita al Dolcedorme, ha visto 17 temerari alpinisti, cimentarsi in quella che da qualcuno è stata definita, come la più dura escursione del calendario di questo anno. La musica della terra ci ha accompagnato lungo tutta l’ascesa e i volti stanchi e segnati dalla dura salita del crestone, sembravano dirmi che la voglia di salire era ancora tanta, nonostante il fiato corto e la stanchezza alle gambe. Arrivati a Cozzo sorvolato, molti mi hanno chiesto il dafarsi. Ed è stato proprio lì, che leggendo negli sguardi ansiosi e pieni di energia di ognuno, che ho visto una nuova grinta. Grinta che ha permesso di realizzare una delle più belle “invernali” della mia vita. Percorrendo il traverso con molta attenzione e guardando l’amico Roberto più indietro, si percepiva nell’aria, quella sorta di carica che precede le grandi salite. Un vento gelido ci ha accolti sulla cresta, quasi a sussurrarci che ancora non era finita, che ancora un ultimo ostacolo ci separava dalla vittoria. E in fila indiana, seguendo ognuno i passi del compagno davanti, ci siamo impegnati a compiere l’impresa. Lungo quella cresta mi sono voltato diverse volte, forse perché non ero mai sazio di quella visione. Ho visto i miei compagni arrancare ma tener duro fino alla fine, in quella salita alla “cima grande del Pollino”. Sono andato avanti stringendo i denti perchè la stanchezza si faceva sentire ma quando anche l’ultima anticima è rimasta dietro, ho capito che ce l’avevamo fatta. E per l’ennesima volta mi sono convinto che ripetere un qualcosa di grande, ti fa rendere conto che davvero esistono i giorni perfetti….davvero esistono i giorni grandi. E se le emozioni pensavo fossero finite lì, mi sbagliavo. Ad attenderci in un abbraccio fraterno, c’erano gli amici del Gruppo Speleo di Morano e noi orgogliosi per quel che avevamo appena compiuto ci siamo stretti a loro in quell’ angolo di paradiso che forse tanta gente non aveva mai visto. Abbiamo creduto molto in questa escursione e magari chissà, la montagna ci ha ripagati alla grande.

15 marzo 2009, Cozzo Palumbo – Pino di Michele – Serra Dolcedorme di R. Motta

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La fronte imperlata di sudore brucia. Fa caldo, la temperatura corporea aumenta e non c’è un alito di vento. Salgo. Il gruppo, in fila, procede più o meno compatto. Qualcuno spedito, altri meno, qualcun’altro arranca volenteroso di superare l’erta cresta. L’ultimo tratto si rileva abbastanza impegnativo ma con meno neve del previsto. Adesso il gruppo si allunga. Resto dietro accanto ad un amico. Osservo il fantastico panorama, luci ed ombre, colori diversi. Con lentezza mi lascio abbracciare ed accarezzare dalla montagna, lenti e con calma, risaliamo l’ultimo erto tratto di cresta che ripiega su “Cozzo Sorvolato”. Assaporo l’aria e poi ci sediamo con Alberto ad ammirare le rocce di Serra Dolcedorme. Pinnacoli svettanti ricolmi di neve risplendono di luce, strette gole si aprono a canaloni che ogni tanto scaricano detriti di pietre miste a neve. Pini loricati, dall’altra parte, ci osservano dalla Sella del Vascello, altri, vicinissimi, sembrano afferrarci con rami contorti, dita senili di esseri che hanno combattuto battaglie millenarie e cruente con le forze della natura. Tronchi come scudi carbonizzati, cicatrici nere come tagli di spade, cortecce squarciate dalla forza delle saette, sento il sibilo di lamenti, gemiti che provengono da un altro tempo e da un altro spazio. Così sento la mente intorpidirsi, torno fanciullo. Dalla campagna dei nonni, seguo i profili e le pieghe del versante meridionale della catena del Pollino. Leggero con lo sguardo risalgo le erte pendici e le scaglie di roccia che ripidissime accarezzano il cielo. Senza lasciare traccia, sfioro la roccia delle pareti e i tratti delle creste innevate di bianco. Poi con abilità seguo il crinale che mi conduce alla cima. Senza fatica, senza sforzo, chiudo gli occhi sfiorando la neve della vetta, prima di intraprendere la via del ritorno. Oggi ho imparato a misurarmi su queste creste ardite, ho percorso le nervature delle “mie montagne”, con lo sforzo i miei piedi hanno calpestato le loro vette e, d’inverno, il bianco immacolato delle loro nevi. Tutti i momenti vissuti in montagna hanno lasciato il segno nel mio cuore, ma soprattutto mi hanno insegnato a percorrere con umiltà i mille sentieri dell'animo umano. Mettersi in gioco, misurarsi con la montagna è anche un mezzo per scoprire sin dove le nostre forze psico-fisiche possono arrivare. Saggiare tutto quello che si ha dentro con la sola forza dei muscoli e della rapidità del sangue che raggiunge le parti vitali del corpo. Mentre guardo il gruppo che ormai sfila sotto il traverso della Timpa del Pino di Michele, e lentamente si avvia a raggiungere la cima di Serra Dolcedorme, credo che ognuno di noi oggi stia percorrendo il proprio sentiero. Guardo l’amico Alberto. Regna il silenzio. Sono felice. Questa pace profonda mi induce a pensare. Le montagne ricalcano l’amicizia, stanno attaccate alla terra e protese verso il cielo quasi come a cercare qualcuno, abbracciandolo, nell’immensità della volta celeste. Le montagne rappresentano un mezzo per trascendere ed elevarsi, rinsaldano i cuori, rendono le amicizie inossidabili per tutta la vita. A sera, lungo il facile sentiero che ci conduce all’auto io e Salvatore ci attardiamo, rivivendo con i nostri discorsi alcuni momenti della giornata. Salvatore cerca le ultime luci del tramonto. Io mi volto verso Serra Dolcedorme. Le rocce di vetta si stagliano scure nel cielo come la testa di un grosso animale preistorico. Chissà se l’amore e l’amicizia durino per sempre. In questa vita, credo, non potranno mai morire, forse solo dividersi, per poi un giorno, chissà, crescere altrove. Amicizia e amore: roccia che si frantuma, si spezza, si dissolve in sabbia e polvere non rinnegando la propria anima: quella che è riuscita a creare le montagne, la stessa anima che giorno dopo giorno, nella luce e nell'ombra, mi fa amare di più la vita.

1° marzo 2009, 2ª giornata nazionale delle ferrovie dimenticate di Mimmo Filomia

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Ferrovia ex MCL Lagonegro-Castrovillari-Spezzano Albanese (Tratto Pavone di Campotenese- Carbonaro di Morano C.) Il 1° Marzo 2009 si è svolta l’escursione eco-turistica, organizzata dall’AIGAE Calabria (Associazione Guide Ambientali Escursionistiche) con la collaborazione della Sezione di Castrovillari del Club Alpino Italiano e l’associazione Amici della Terra Pollino di Castrovillari. Obiettivi della manifestazione, che ha particolarmente entusiasmato i numerosi partecipanti, erano: tramandare alle giovani generazioni il valore e l’importanza della ferrovia come mezzo di trasporto sostenibile; promuovere la conoscenza del patrimonio storico delle ferrovie italiane; spingere alla riattivazione, come ferrovie turistiche, delle piccole ferrovie soppresse o scarsamente esercitate; incentivare l’uso della ferrovia come vettore della mobilità dolce (treno+bici, trenotrekking ecc.); stimolare il recupero delle ferrovie definitivamente abbandonate sottoforma di piste ciclopedonali. Durante l’escursione non sono mancate le riflessioni circa il buono stato di conservazione delle infrastrutture esplorate: ponti, gallerie, trincee, caselli; le stesse sono adattabili per lo sviluppo sostenibile di un turismo ambientale a ritmi lenti, sentiero escursionistico, anche per meno dotati, pista ciclabile. Il tempo di percorrenza del treno (4 ore e 30 min) per coprire l’intero percorso collinare (101 km), tra le Stazioni di Spezzano Albanese e Lagonegro, oggi è considerato interminabile e fuori dal tempo. In realtà, negli ultimi tempi, ha penalizzato la movimentazione dei viaggiatori sempre più esigenti. Di certo l’antico passeggero durante la lunga percorrenza non si annoiava! Lo rivedo attratto, con la punta del naso schiacciato sul vetro del finestrino, dal panorama offerto da vallate degradanti verso il mare e le cime innevate della catena del Pollino. Negli anni fulgidi, post bellici, la ferrovia (aperta nel 1931) si è resa protagonista per avere posto fine all’isolamento di paesi e borghi mettendoli in condizioni di partecipare alla rinascita del Paese. In fondo, un pò di nostalgia ci assale pensando alla littorina mentre s’inerpica ansimando con stridio delle rotaie nelle trincee e gallerie ricurve, elicoidali, perforate per sormontare dolcemente la “Dirupata” (400m disliv.) proprio adiacente al tracciato dell’antica Via Popilia. Oggi siamo che ripercorriamo -sui ciottoli bianchi della massicciata- un viaggio a ritroso nel tempo attraverso un sentiero panoramico naturalistico al posto di quell’antico treno che ha accolto in classe unica tanti viaggiatori mossi dal desiderio di riscatto, lavoro, scuola, mercato, fiere, chiamata alle armi etc. La dismissione dei rami ferroviari secchi a favore del trasporto su gomma ha purtroppo contribuito ad allontanare la presenza umana dalle terre alte. Le stazioncine ai margini della ferrovia, provviste di corte attrezzata in aperta montagna, prevedevano specialmente d’inverno la presenza continua del personale. La vegetazione in meno di trent’anni si sta riprendendo il proprio spazio. I rovi, al mancare della manutenzione del tracciato, ora entrano nelle sale d’attesa delle piccole stazioni dove ancora il caminetto, con gli ultimi resti di fuoco, un tempo accoglieva al caldo, con largo anticipo, i passeggeri. Bisogna fare qualcosa per riportare in uso questa traccia ambientale sostenibile, tra Calabria e Basilicata! Allora il tracciato si sviluppava in un’area ancora non protetta dal Parco Nazionale del Pollino. Oggi, l’Ente Parco, che ha patrocinato la manifestazione, ha un progetto in più su cui lavorare! Per noi è stata un’escursione defaticante, un breve salto dalla neve dell’altopiano di Campotenese ai mandorli in fiore della valle del Coscile.

15 febbraio 2009 Colle Impiso (1535m) - Grande Porta di Pollino (1947m) di Mimmo Filomia

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È possibile giungere con le racchette da neve, “ciaspole” o sci da fondo fin nei pressi dell’Ara di Zì Peppe, rendere omaggio al pino loricato più emblematico del Parco Nazionale del Pollino. Non si richiede eccessivo sforzo fisico. Un’escursione, dal percorso misto, a ritmi lenti in ambienti innevati che introducono su radure fiabesche soleggiate, confortevoli, panoramiche; racchiuse dai contrafforti sovrastanti settentrionali di Serra del Prete, Pollino ,Dolcedorme che si vengono a delineare alla vista man mano che si progredisce. Insomma con le ciaspole si va con le ali ai piedi sull’arteria che conduce al cuore del Parco. L’uscita dal bosco sui piani di Pollino 1780m dopo uno sforzo graduale e defaticante è premiato da un’impareggiabile visione a 360° sui luoghi dimora di splendidi esemplari di pino loricato, vedi Serra Crispo e Serra delle Ciavole. L’ultra secolare grigio “ Zì Peppe “ spogliato della sua lorica ci attende più in alto sulla via sinistra dei Piani, adagiato su un fianco coperto per l’occasione da uno spesso lenzuolo di neve, imperterrito testimone fra gli uomini, di un inqualificabile sopruso subito. Con queste istruzioni e descrizione dei momenti salienti della giornata, ci ritroviamo alla spicciolata tutti all’appuntamento, ironizzando sulla sorte che ormai ci perseguita ad ogni uscita a causa del maltempo… Ma sì intanto, partiamo! Poi si vedrà! Esclama con una decisione trainante un gruppetto di “sentiero positivi” sull’evolversi della giornata piuttosto grigia e minacciosa. Finalmente! Esclamiamo in coro, la strada di avvicinamento al sentiero è sgombra! Le catene montate a Colle del Dragone ci assicurano la viabilità fino a Colle Impiso. Il cielo è indeciso se regalarci una bella giornata di sole, magari a sprazzi; fa freddo –8°C con qualche fiocco di neve sulle mani intenti a calzare le “ciaspole”. Il manto di neve sul sentiero, alta 40 cm, soffice, candida e praticabile, azzera ogni nostra indecisione, anzi stimola ad andare senza badare all’evoluzione atmosferica. Alcune progressioni si possono intraprendere solo se si è ben equipaggiati. A piano Vacquarro alto, crocevia di sentieri d’altura, si ha un’anteprima di quello che la giornata può offrirci: nevischio su tutti i fronti. Con decisione unanime proseguiamo, anche per saggiare le nostre possibilità fisiche nell’affrontare un ambiente inusitato mentre reagisce anch’esso ai rigori dell’inverno. Proseguiamo per la sorgente Rummo, ma qui la neve ha coperto tutto, il bollettino meteo non cambia, ancora nevischio con temperatura –7°C. Ormai la carovana non ha più tempo di girarsi indietro, va lungo la trincea scavata a turno dagli apri pista, fra la neve sempre più alta morbida e fresca quasi invita a morderla. Rimarrà nell’immaginario collettivo per essere ricordata quest’estate sugli stessi luoghi per un refrigerio morale. Intanto il gruppo diventa una macchina umana a ritmi lenti. Carbura a suon di frutta secca e cioccolato con in mente la meta e la speranza almeno di pochi sprazzi di sole sui Piani di Pollino, dove giunge poco dopo mezzogiorno. Qui, con un’impareggiabile torsione a 360° come suggerito nella locandina, ci accorgiamo, invece, con altrettanta meraviglia di avere addirittura perso il nero di contrasto ambientale. Ci troviamo immersi in un bianco soffuso tra la neve e la foschia che solo l’intuito riesce a penetrare senza disorientarsi. Ci fermiamo un attimo per uniformarci al nuovo ritmo e quindi proporci sulla sinistra verso la Grande Porta. La neve, alta circa un metro ci ha facilitato la progressione puntando dritti verso i Loricati Sentinella (1920m) cercati, nella bufera scaturita improvvisa, come riferimento. Il gruppo giunge nei pressi della Grande Porta alle 13.30. L’ambiente circostante fa registrare una temperatura di meno –10° C misurata! Ci troviamo ad assistere ai margini di una bufera di più ampie dimensioni sulla Piana di Pollino, dove giace l’ara di “ Zì Peppe” per cui dopo le foto ricordo riprendiamo la via del rientro. Oggi un solo sprazzo di sole è riuscito a farsi strada su Serra delle Ciavole, in compenso abbiamo accumulato margini per ulteriori simili performance.

8 febbraio 2009 - 1° Pollinociaspole di Mimmo Filomia

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Grande successo della prima edizione della Pollinociaspole, raduno con le racchette da neve nel Parco del Pollino, organizzata dal Club Alpino Italiano di Castrovillari. La manifestazione si è svolta sotto un abbondante e ben augurale nevicata sui Piani di Novacco, crocevia di sentieri escursionistici nel gruppo montuoso Orsomarso, Monte Caramolo. Il tempo incerto, ha condizionato i molti che avevano prenotato entusiasti la prima esperienza sulla neve, ma ha rafforzato la costanza, sempre premiata, tra i fedelissimi di questa disciplina tra cui molte donne e i due più piccoli partecipanti, Vladimiro (8 anni) e Daniele (6 anni). D’inverno, il caminetto acceso e scoppiettante resta sempre un riferimento che riunisce la famiglia degli escursionisti. Finalmente è ora che una ventata d’allegria aleggi anche per queste alture, riserva potenziale di sport invernali, che da troppo tempo aspettano di mostrare il meglio di se ad ospiti e turisti numerosi e riconoscenti. Il comprensorio di Novacco con il suo rifugio aperto tutto l’anno, si offre in una veste completamente nuova ed in linea con le esigenze degli appassionati della montagna. Gli escursionisti frequentatori del territorio, plaudono all’iniziativa non priva di sacrifici dei tenaci gestori; gli si stringono intorno con simpatia ed affetto promovendo manifestazioni di richiamo. Oggi è toccato al 1° raduno con le racchette da neve, organizzato dal CAI di Castrovillari, con la collaborazione del Comune di Saracena ed il patrocinio dell’Ente Parco del Pollino, portare un’atmosfera gioiosa in questi fantastici posti. L’evento ,considarata la facilità del percorso, ha consentito la partecipazione di tutti indipendentemente dall’esperienza e dall’allenamento personali: e cosi è stato, infatti alla partenza erano più di 40 coppie le multicolori racchette da neve a lasciare il segno sul morbido manto. Le racchette da neve (dette ciaspole o canadesi), attività molto in voga sulle montagne del nord Italia, prima di giungere alla attuale forma hanno subito una serie d’innovazioni; graffiti raffiguranti rudimentali tavole ricurve ai piedi di cacciatori, dimostrano il loro uso già presso gli indiani d’America a caccia sulle praterie innevate. La facile calzata crea un particolare feeling fra l’attrezzo e gli appassionati, al contrario degli sci da fondo più impegnativi per l’apprendimento e nell’uso, adatti più per una performance sportiva che per una progressione in ambienti con fondo accidentato, boschivo, in pendio. Il raduno, nello spazio antistante il rifugio (1315 m), ha animato questa località con simpatici momenti d’aggregazione. L’obiettivo principale dell’evento è stato promuovere la conoscenza di una attività sportiva ecocompatibile, attraverso l’uso di un attrezzo, che consente un approccio nuovo di vivere la nostra montagna in un periodo -quello invernale- ritenuto a torto poco frequentabile per le difficoltà logistiche e di adattamento. La progressione sulla fresca coltre di neve, ha condotto a ritmi lenti il variopinto serpentone in un ambiente fiabesco, inviolato, come quello di piano dell’Erba e dintorni. L’aspetto invernale dei luoghi montani è altrettanto confortevole come quello estivo per chi desidera trascorrere una giornata in movimento a contatto con la neve. Si esce migliorati nell’autostima nei confronti di un ambiente considerato ostile ma che invece si svela in tutta la sua straordinaria bellezza. Gli entusiastici commenti e la grande partecipazione ha testimoniato, infine, che è necessario ,per una veloce ed efficace ripresa economica, sociale, culturale e sportiva del nostro territorio, che è stata sempre auspicata e mai realizzata, che tutti (enti pubblici, politici, associazioni, cittadini) si impegnino a fondo per la rinascita di un interesse nei confronti di una parte del Parco, quella calabrese, rimasta per troppo tempo a guardare nonostante le enormi potenzialità paesaggistiche e naturalistiche che tutti ci invidiano.

25 gennaio 2009 - Piano Novacco , Piano Scifarello di C.Primavera

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Le condizioni meteo non erano certo incoraggianti! Il raduno previsto alle 8 era in corso, alla spicciolata i soci e amici CAI arrivavano all’appuntamento e man mano ci si riuniva a piccoli gruppi, poi tutti insieme parlottando e chiacchierando…Qualcuno scrutava i monti d’Orsomarso con cognizione di causa: stava di sicuro nevicando! Bene… Pane per i nostri denti…! Una pioggia battente ci dava da pensare ma forte era il desiderio di fare l’escursione. Si parte. Raggiungiamo senza difficoltà Piano Novacco dove tutta la fase preparatoria dell’escursione è stata accompagnata da una nevicata in grande stile. Prima di partire foto di gruppo –con in prima fila il Sindaco di Saracena Mario Albino Gagliardi- davanti al rifugio, finalmente aperto e gestito in maniera efficiente da una cooperativa di giovani. Un gruppo di ben 22 persone, dinamicissimo, si avvia -percorrendo il sentiero 631- verso il piccolo rifugio di Scifarello. La meta originaria dell’escursione, Monte Caramolo, è troppo lontana considerate le condizioni meteo peggiorate notevolmente; pertanto dopo una breve puntatina su piano Scifarello, dove la fitta nebbia la fa da padrone, si decide di consumare -al rifugetto omonimo- il nostro rustico ma lauto pasto, condito da bella compagnia e sonore risate! Piccolo ma accogliente si rivela provvidenziale per una sosta ristoratrice. Ripresa la strada del ritorno –abbastanza agevole e veloce- sosta finale al rifugio di Novacco dove con una bevanda calda cerchiamo di scrollarci di dosso il gelo e l’umido accumulato. Grande accoglienza e per concludere -tutti insieme- movimentati balli di gruppo. Che dire…comunque vada è un successo!!!

10/11 gennaio 2009 - Notturna d’inverno sul Pollino di Mimmo Pace

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Avventurarsi in una romantica notte di plenilunio sulla nostra montagna, per scoprirne e viverne ogni dimensione e ogni suo più recondito aspetto. Questo il desiderio comune e l’intento di una ventina di soci della Sezione CAI di Castrovillari, unitamente a un amico di quella aspromontana. Dal Colle dell’Impiso, postazione di partenza, fino al piano alto di Vacquarro, facendo capolino tra nebbie e grevi nubi, la luna regalava, a tratti, scorci di sublime, integra bellezza, alimentando le nostre speranze nella sua compagnia per tutto il difficile iter ad anello, che prevedeva l’ascesa sulla Serra Dolcedorme, la discesa lungo i ghiacci del suo ripido versante Nord e l’attraversamento dei Piani del Pollino. Una folata di vento e d’improvviso si rabbuia; nebbia e nevischio ci inducono a trovar riparo nel provvidenziale, minuscolo rifugio in legno del Colle Gaudolino, che ci ospiterà per l’intera nottata… trascorsa a mangiucchiare nervosamente al calduccio dello scoppiettante camino, tra facezie, rumorosi esiti di alcuni fortunati approcci con Morfeo, le piccanti barzellette di Eugenio, intervallate da concitate riflessioni sul da farsi, col naso sempre fuori dell’uscio del rifugio, a scrutare ogni minima miglioria del tempo. Una schiera di irriducibili, intanto, non aveva rinunciato e dopo un’ora circa aveva ripreso il cammino. Presto le luci delle loro frontali si erano perse nel tetro nebbione... nel nulla! Riceveremo verso le sette del mattino un loro messaggio telefonico, con cui ci comunicavano di essere in vetta al Pollino. Ciò induce una presa d’orgoglio nei più e meno anziani, rimasti prudenzialmente al coperto, per cui, alle prime luci, anche il resto del gruppo si avvia, sempre tra nebbia e nevischio, con la speranza di toccare almeno il Pollinello per dare un qualche senso alla sortita. Mentre si arranca nella viva costa, ecco apparire, appena sotto il filo di cresta, i reduci dell’ascensione. Un rapido scambio di opinioni, di consigli, di felicitazioni e i due gruppi proseguono, ognuno nel proprio senso di marcia. La neve è ora molto alta e l’ultima rampa è davvero ripida, con qualche passaggio da brivido... ma si è finalmente in cresta. Un primo importante obiettivo è così raggiunto. C’è chi, appagato da tale traguardo, riprende la via del ritorno, ma un drappello, di cui fanno parte anche due intrepide quanto graziose figliole, nonché una coppia di neofiti alquanto attempati al loro primo serio approccio con la montagna, non demorde e prosegue impavido e tenace nella dura ascesa del “cupolone” terminale. Un vento tagliente ci sferza e ci acceca, in un turbinio di nevischio e vapori glaciali; a stento seguiamo le tracce di quei prodi che ci hanno preceduto, facilitandoci il cammino! I nostri volti sono ormai incrostati di gelo, mentre l’ascesa pare non debba più finire. No, non è un miraggio... è la stele di vetta quasi del tutto sepolta dalle nevi; anche noialtri abbiamo toccato la vetta del Pollino! Non si vede ad un palmo, ma c’è chi non rinuncia ad una sia pur sbiaditissima foto ricordo, rischiando di congelarsi le mani. La meta più ambita, il Dolcedorme è ancora tanto lontana, invisibile, irraggiungibile! È d’uopo la rinuncia… la montagna e la natura impongono la loro legge! Una legge che, con piena consapevolezza, l’uomo, anche il più tenace e amante del rischio e delle emozioni forti, deve necessariamente considerare e accettare. Non è per nulla disonorevole recedere; è invece molto importante tentare... provarci! Affrontiamo l’iter di ritorno, occorreranno circa tre ore per raggiungere l’accogliente rifugio De Gasperi e poterci così finalmente crogiolare difronte all’ardente camino, gustando qualche locale leccornia, innaffiata da un rosso, così generoso, da cancellare ogni travaglio vissuto.