Raccontatrekking 2025

11 maggio 2025: “I Greci del Tiro” di Walter Bellizzi

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Puntuali alle 8.00 del mattino un gruppo consistente di escursionisti è già presente in Piazza Casini. Anche se il cielo in lontananza è grigio, ad Est si può ammirare il golfo di Sibari da dove un sole timido illumina la bianca Cattedrale di Lungro, splendido gioiello dell’arte bizantina arricchito dai mosaici fondo oro, affreschi che raccontano le feste liturgiche completato dall’iconostasi di legno pregiato su cui gli occhi dei visitatori contemplano le sacre icone. Ricomposto il gruppo, si procede in auto diretti verso il Rifugio Petrosa (900 s.l.m.m.). Lì giunti, Pierre, l’organizzatore dell’escursione, ci spiega brevemente lo scopo dell’escursione e il tragitto che percorreremo. Ci sollecita a camminare con il cuore e di lasciare volare l’immaginazione per colmare ciò che gli occhi non riusciranno a vedere. Appena imboccato il sentiero e saliti per una cinquantina di metri ci si apre ai nostri occhi l’enclave monastica della località Spelasit (950 m.s.m.m.). Spèllëa in lingua arbrisht (albanese) significa le grotte, le spelonche. Resti di mura a secco e cumuli di pietre è ciò che testimonia la vita del millenario monachesimo bizantino in Calabria. Ci racconta che il primo afflusso ascetico in Calabria avvenne intorno al VI secolo d.C. al seguito delle armate di Narsete e Belisario durante la guerra greco-gotica. Ma già nel IV e V sec. d. C., proprio nella zona del fiume Tiro dell’attuale Parco del Pollino, hanno preso ad insediarsi esicasti e nuclei di monaci greci. Dopo la conquista araba del Nordafrica, ci fu nel VII sec. un secondo movimento migratorio proveniente dall’Egitto e dal Medio Oriente. Nell’VIII e IX sec. le guerre iconoclaste portarono altri monaci da Bisanzio verso il porto di Rossano e costoro si stabilirono sui monti della Calabria, della Lucania e della Campania. Famose, ma successive a quelle del Tiro, sono le cittadelle ascetiche del Mercurion, del Monte Bulgheria e quelle poste nei bellissimi declivi montuosi dell’Orsomarso tra la Mula e il Monte Caramolo. A Lungro il 2 maggio del 1195 fu fondato da Rogerio e Basilia feudatari di Brahalla, ora chiamata Altomonte, il cenobio basiliano di Santa Maria de Fontibus alla presenza di molti prelati e feudatari imperiali. Allora, da tempo, molti monaci seguivano una vita ascetica più rigorosa e si ritiravano in preghiera nelle spelonche e nei villaggi in quota di Spellasit e del Tiro. La vita monastica perdura in questi luoghi dal IV al XVI sec., epoca in cui l’arrivo degli Albanesi ripopolerà il borgo di Lungro e darà continuità alla tradizione liturgica greca. Seguiamo Pierre lungo il sentiero che scende circondato da alti ontani napoletani (alnus cordata Loisel) e ci ritroviamo davanti ad una seconda cittadella monastica. Questo insediamento monastico, anche se di dimensioni ridotte, rispecchia grandemente la “laura”. “Laura” in greco significa “cammino stretto, gola” ed indica la presenza di un cenobio con un ampio cortile al centro (refettorio o chiesetta?) circondato da un agglomerato di celle o grotte dove i monaci vivevano. Notiamo che intorno a questi ruderi c’è sempre la presenza di alberi da frutta come pruni selvatici (kumbull in arbrisht), meli selvatici (molla eger in arbrisht) e peri selvatici (gurric). Ciò dimostra che alcuni monaci, oltre alla composizione di inni sacri e trascrizione di manoscritti, si occupavano del lavoro dei campi, disboscando le terre e mantenendole a coltura di cereali e dedicandosi alla raccolta di erbe officinali. Lungo il sentiero notiamo un’esplosione di vegetazione del sottobosco e tra le innumerevoli erbe notiamo alcune piante alimurgiche (commestibili) ed officinali. Tra le quali riconosciamo il crescione d’acqua (sherpi in arbrisht), (Nasturtium officinalis), la Clematis vitalba L. ( kurpur in arbrisht), la Reseda lutea e grandiosi esemplari di felce (Polypodium vulgare L.), solo per citarne alcune. Bellissime le varie specie di orchidee selvatiche sormontate da cespugli di biancospino dai fiori bianchissimi e lucenti che emanano un soave profumo. Guadiamo un affluente del torrente Tiro in località Carraci. Vicino al torrente, Emmanuele individua un bellissimo esemplare di salamandra pezzata (Salamandra salamandra) che richiama subito la nostra attenzione per fotografarla. Appare raramente di giorno e solo in occasione di piogge. Infatti, subito dopo inizia a piovigginare. Passato il torrente si sale fino a raggiungere la terza laura che sorge su terrazzo roccioso dove si vedono postazioni di vedetta affacciati sulla costa ionica (Cozzo di Pepe 1280 m.s.l.m). Si giunge al quarto villaggio monastico dove i resti perimetrali, per come ci suggerisce Pierre, si riferiscono alla Chiesa dedicata a Santa Maria la più bella (Aghia Kallista in greco). Riusciamo ad individuare anche le celle monastiche adiacenti la chiesa. Un silenzio fascinoso pervade il gruppo interrotto dal ticchettio della pioggia sulle tenere foglie dei faggi e degli ontani. Si sale ancora lungo il sentiero interrotto da oasi di abeti bianchi (Abies alba). Uno strano masso con una scanalatura nel mezzo e rivolto precisamente verso nord cattura il nostro sguardo e ci induce a elaborare variegate ipotesi. Ancora pochi passi e arriviamo al Piano di Faggio (1380 m.s.l.m.). È l’ora della sosta-pranzo e ci rechiamo al Rifugio di Piano Campolongo per assaggiare le prelibatezze locali. Ringraziamo Pierre e Pasquale per averci regalato un’escursione stupenda, a contatto con una natura incontaminata, dove le pietre raccontano vicende di un’umanità sempre alla ricerca della perenne armonia tra il creato e il mistero che abita dentro il nostro cuore. Un ringraziamento speciale va all’Arch. Vincenzo che ha lavorato e lavora tuttora alacremente per ridare vita e splendore a ciò che rimane dei villaggi monastici e che ha aiutato Pierre e tutti noi ad immergerci in questo antico mondo ascetico.

1/4 maggio 2024: Prealpi Lombarde. Le Grigne e il Resegone di Caterina Tucci

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La prima immagine che mi viene in mente nel momento esatto in cui mi accingo a scrivere questo breve resoconto è di me appesa come un salame a strapiombo sul lago di Como su quella che probabilmente è una delle ferrate più belle dell’arco alpino ma ci arriveremo… Cominciamo dall’inizio. Come descrivere un fine settimana a Lecco con un aggregato di sconosciuti con cui tuo marito sparisce da un po’? Come descrivere la mia prima esperienza con un’istituzione antica e prestigiosa come il CAI per di più in un gruppo eccezionalmente eterogeneo, formato da persone disponibili, gentili e sinceramente appassionate? È facile: è stato, banalmente, fantastico! Partenza di una parte di noi nella serata di venerdì con un pulmino con più anni e acciacchi di quello che voleva dimostrare. Il viaggio, in realtà, si è svolto con lo stesso andamento di tutto il fine settimana: inizialmente con un po’ di incertezza e con la sensazione di avere tanto tempo davanti a noi ma poi con l’entusiasmo e con la voglia di fare, noi assieme al tempo siamo letteralmente volati. Arrivo all’ostello un po’ antipatico, una receptionist non proprio accogliente voleva spiegare a tutti noi ed in particolare ai nostri autisti senza un minuto di sonno le meraviglie dei raffinati ingranaggi logistici della struttura. Aldilà della mia (chiara!) simpatia personale, dopo una bella passeggiata in centro a Lecco, prendiamo possesso delle nostre camere che in realtà vivremo poco: la magia avverrà prevalentemente nella magnifica natura attorno a noi. Tempo di raggrupparci con gli altri membri provenienti da tutta Italia, di stringere una serie di mani e di sorridere a persone dal viso gentile e dal nome lì per lì un po’ dubbio e si parte alla volta della ferrata della Galleria di Morcate. Il gruppo era molto vario: c’era chi era l’esperto, chi veterano, chi appassionato da poco ma già molto promettente, chi si approcciava per la prima volta, chi come me proprio… impacciata! Nonostante questo, i garbatissimi e gentilissimi organizzatori ci hanno disposto nella maniera più efficace dopo essere tutti passati dai rigidissimi controlli di sicurezza per attrezzatura e imbrago. A me, poi, è andata particolarmente bene: sono stata separata da mio marito al quale probabilmente avrei inviato tutte le maledizioni possibili se fosse stato nel raggio di gridata e sono rimasta abbastanza composta con pazientissimi e competenti nuovi amici che mi hanno rassicurato come poche persone nella mia vita. Alla fine, appesa come un salame per fortuna ci sono stata poco o niente perché passo, passo mi è stato spiegato come fare ed ho potuto capire cosa significa sfidare i propri limiti, fare qualcosa che ti fa paura e vincerla: non proprio un risultato comune nelle mie esperienze passate. Perciò, una staffa dopo l’altra, un moschettone dopo l’altro, una roccia dopo l’altra, sono riuscita a terminare il percorso. La ricompensa è stata alta perché ci siamo dedicati ad una nobilissima attività, mangiare, ma assolutamente non in un posto qualunque: siamo stati, infatti, ospiti del CAI di Ballabio nella loro storica sede intitolata al loro celebre socio Casimiro Ferrari. Per me è stato tutto nuovo: non solo prima esperienza con il CAI in assoluto ma addirittura un’uscita intersezionale di questo calibro. Per la seconda volta nella giornata ho avuto modo di incontrare estranei, totali sconosciuti che con un calore e un affetto rari ci accoglievano nella loro splendida sede, con i loro cibi tradizionali e un calore che, francamente, non mi aspettavo. Non è mancato lo spazio per scambi di doni ma soprattutto per lo scambio di storie: è stato bello calarsi nelle loro tradizioni e nella loro storia che per buona parte è quella dell’alpinismo italiano e allo stesso tempo restituire le nostre. Noi calabresi proveniamo da una regione ricca, dove c’è sia il mare che la montagna, e quest’ultima è spesso un’attività di nicchia che richiede fatica e organizzazione. Ho scoperto che ci sono posti in cui la montagna, essenzialmente, è tutto. In cui non si fa altro che aspettare il fine settimana per poter “stambeccare” un po’. Vedere le persone così coinvolte mi ha fatto commuovere e mi ha fatto apprezzare il fatto che l’uomo è capace di vivere passioni eccezionali. Il giorno dopo, ahimè, il livello di difficoltà era salito ma abbiamo potuto scegliere il percorso in base alle nostre abilità. Che si sia andati per la direttissima e il sentiero Cecilia o per la cresta Cermenati, la cosa bella è stata trovarsi tutti in cima alla celebre Grignetta. Soddisfatti, estasiati dalla vista, dall’aver fatto un qualcosa insieme, aver condiviso, supportato l’altro e aver fatto raggiungere l’obiettivo a tutti. È stato meraviglioso potersi godere il paesaggio e soprattutto vivere questa esperienza con i nostri nuovi ospiti e amici. A fine giornata, dopo una discesa non banale, ci siamo ricompensati con una bellissima cena presso il rifugio SEL di Rocca Locatelli. Qui alla lista dei nostri nuovi amici di Ballabio si è aggiunto Giuseppe Orlandi, detto il “Calümer”: un’istituzione del luogo, un vero e proprio custode della Grignetta, esperto alpinista, soccorritore di lunga data, esecutore di spedizioni, insomma chi più ne ha più ne metta. Uno taciturno con gli occhi gentili mascherati da burbero, è stato un onore poter bere un bicchierino di genepì con lui. Per il terzo giorno il programma ha subito una modifica sia per difficoltà meteorologiche che, ammettiamolo, dei partecipanti: niente Grignone bensì Resegone. Si è potuti così fare un qualcosa di più accessibile a tutti, dividendosi comunque in base alle preferenze personali: Canalone Bobbio o sentieri 5 e 1 per arrivare tutti insieme a Punta Cermenati dove il Rifugio Azzoni ci ha saputo accogliere (molto!) lautamente. E così, un passo dopo l’altro, un panorama dopo un altro, rientriamo a Lecco dove ci riuniamo per una cena di commiato. Discussioni, considerazioni e poi un momento molto romantico in cui ognuno di noi ha condiviso per iscritto un pensiero sull’esperienza trascorsa. Ed eccoci ai saluti e al lungo viaggio di ritorno. Veramente le emozioni sono state tante: sicuramente gratitudine e felicità, desiderio di poter ancora fare di nuovo attività con queste bellissime persone e soprattutto mi piacerebbe concludere dicendo che questo viaggio mi hai lasciato tanta speranza. Speranza verso le persone e l’ignoto per chi di noi è timoroso, un pò disincantato e un pò disilluso serve poter fare esperienze che ti fanno fidare degli altri e della bellezza della vita. Quindi grazie alla montagna, il comun denominatore, ma grazie, soprattutto, al materiale umano. Grazie a tutti voi CAI Castrovillari (e annessi)!

4 maggio 2025: Cresta di Serra La Limpida di Gaetano Cersosimo

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La mattina è fresca e limpida. Dal punto di ritrovo siamo pronti per partire per il borgo di Santa Domenica Talao. Prima di arrivare al borgo, ci soffermiamo ad un boschetto di sughereta, un bosco di grandi dimensione. Un ambiente naturale caratterizzato da querce di sughero, tronchi ricoperti da cortecce spessi e rugosi, molto pregiati che possono raggiungere grandi dimensioni, questi boschi sono tipici della macchia mediterranea. Parcheggiate le auto presso l’ acquedotto del paesello e dopo esserci salutati, forniamo, io e Walter, ai soci, qualche informazione sull’ escursione, indossiamo lo zaino e ci incamminiamo. Il percorso inizia fra rocce ed erba alta, poi si snoda su un tratto pietroso lunga la cresta, offrendo una vista stupenda sulla valle del fiume Lao e sul Mar Tirreno. La natura è fiorente e colorata , con fiori, ginestre e orchidee selvatiche che sbucano da ogni luogo. Si sente nell’aria il profumo dell’ erba fresca e dei fiori. Sono presenti anche ruderi, strutture costruite con pietre del posto per offrire rifugio ai pastori, testimoniano la vita dura legata alla coltivazione della terra e all’ allevamento di animali. Man mano che si sale, la vista diventa sempre più ampia e panoramica. Il mare scintilla, la vista spazia dall’isola di Cirella all’isola di Dino, al Monte Coccovello al Monte Bulgheria. La luce del sole è particolare, crea dei colori suggestivi sui paesi e sulle montagne circostanti. La parola “Limpida”, dalle informazione ricevute dagli anziani del paese, potrebbe riferirsi alla limpidezza dell’aria e dalla posizione di questa cresta, oppure legato alla storia che Limpida sia un riferimento a una figura storica o a un evento importante che ha avuto luogo nella zona. Fino agli anni 60 sulla cresta era presente un bosco verde di querce, bruciato dal fuoco, oggi è presente un paesaggio arido e desolato. Dopo un po’ di cammino sulla cresta raggiungiamo la cima della Cresta Sud della Limpida, panorama ampio e particolarmente apprezzato. Facciamo la foto di rito, ci sediamo sull’ erba, una pausa per il pranzo a sacco, un’ occasione per fermarsi. Oltre ad apprezzare sempre di più il luogo affascinante e scenografico, si svuota anche lo zaino per apprezza le cose buone portate e ci si diletta in compagnia dei compagni di viaggio. La discesa è sempre diversa della salita, infatti mentre si scende verso il punto di partenza il panorama è altrettanto piacevole, ci permette di guardare da un’ altra prospettiva, quindi si ha un’ attenzione diversa. Dato l ‘orario , decidiamo di soffermarci al borgo di Santa Domenica Talao, un borgo tranquillo e pittoresco, con le sue case in pietra , le strade strette e il centro storico, dove si possono ammirare le antiche chiese e palazzi signorili. Il suo nome deriva dalla chiesa di Santa Domenica che fu costruita nel XII secolo. Il borgo è un importante centro agricolo con i sui ulivi e vigneti. La giornata non poteva concludersi nel migliori dei modi, un saluto telefonico con il sindaco, pronto a congratularsi con noi per il trekking compiuto e a ringraziarci per aver scelto di visitare il paese. Il sindaco ci invita a ritornare e a condividere le nostre esperienze e impressioni sul trekking e sul borgo. Il primo cittadino fa presente che con il CAI è un’opportunità importante per il nostro borgo poichè potrà promuovere il turismo in questo territorio. La giornata si conclude con un brindisi e un crostata, un ringraziamento a noi e all’ ospitalità e la gentilezza della comunità locale presente in quel momento. Una escursione storica per il CAI di Castrovillari, la sua presenza ha aggiunto un ulteriore valore a questa esperienza. Un ringraziamento anche a tutti i partecipanti, oltre a me e Walter, Teresa, Maria Grazia, Carmen , Francesco, Maria Teresa, Mariolina, Giusj, Aldo, per la prima volta su questa cresta, rimarrà un esperienza unica e indimenticabile, una escursione organizzata con cura e attenzione ai dettagli, rimarranno nella storia per il luogo percorso sia per il panorama che ha offerto la cresta e per la bellezza di questo paese. Il ricordo di questo incontro resterà con noi a lungo.

27 aprile 2025: Arrampicata sportiva - Colle Cornice – Castrovillari di Paolo Viceconte

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Una sintesi di molteplici aspetti che fanno di una giornata di arrampicata qualcosa di più… Il briefing inizia con una riflessione sul contesto in cui si svolge la giornata. La scelta di un determinato luogo assume spesso un significato che va oltre l’estemporanea pratica dell’attività in parete. In questo caso, la scelta di Colle Cornice ha determinato la manutenzione del sentiero CAI di avvicinamento e della stessa falesia, dunque, la valorizzazione di un contesto che permette di apprezzare a trecentosessanta gradi l’ambiente circostante, potendo ammirare sia il vicino Massiccio del Pollino che il versante Ovest del Parco, ad un passo dall’area urbana di Castrovillari seppure immersi nel verde. Ancora una riflessione sulla connessione tra le discipline, sul valore che l’arrampicata sportiva può rappresentare anche nello svolgere altre attività in ambiente, come l’alpinismo o lo stesso escursionismo nei suoi itinerari più tecnici. In sintesi, un momento di incontro tra persone e attività. Chi neofita, chi già con esperienza, non si è risparmiato nel vivere a pieno una disciplina che mette alla prova se stessi ma in sinergia con il compagno di cordata: il che ne fa un’esperienza tutt’altro che individualista. Da “Primi passi”, “Santo Iorio”, “U monachiddu” del primo settore a “Il fuggitivo” e “Buona la prima” del secondo, ognuno, con la propria motivazione, si è messo in gioco, dando a sé e agli altri una continua opportunità. A fine giornata abbiamo potuto apprezzare le prelibatezze fuoriuscite dagli zaini, solo apparentemente innocui, la cui apertura si è rivelata ben più impegnativa di alcune vie! La partecipazione di chi ha avuto il vero piacere di far gruppo, di chi nonostante gli impegni ha tenuto ad esserci, di chi ha fatto molti chilometri per trascorrere una giornata insieme e di chi ha lavorato dietro le quinte per far sì che ciò accedesse dà certamente un peso specifico ad un’attività che diversamente sarebbe degradata a mera prestazione e, quindi, difficilmente consentirebbe di rientrare a casa con qualcosa in più.

25 Aprile 2025: Madonna del Riposo di Eugenio Iannelli

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Dopo qualche giorno di continua pioggia e brutto tempo una giornata di splendido sole accoglie un folto numero di partecipanti che si radunano alla spicciolata al semicerchio di Castrovillari, consueto punto di partenza dell’escursione. Tra i partecipanti tante facce nuove che sono presenti per la prima volta incuriositi da questa uscita escursionistica che si sviluppa a pochi metri dall’uscio di casa su di un percorso e per raggiungere una meta sempre osservata da lontano ma dove più di qualcuno non ha mai avuto occasione di andare. Sfido chi non ha mai detto, guardando da lontano quegli orribili tabelloni e la piccola chiesetta, “un giorno ci devo andare fin lassù”. Tanti anche i visi conosciuti che ci accompagnano da diversi anni in questa che era la Pasquetta dei Castrovillaresi, tra questi anche l’emittente radiofonica Kontatto Radio di Castrovillari che da tanti anni ci riserva questa graditissima attenzione seguendo tutte le fasi dell’escursione. Con passo svelto ci avviamo verso la Caserma E. Manes, che prima di avere la struttura odierna era, per le vecchie generazioni, “i’ casermette”, luogo molto amato dai giovani castrovillaresi e dove negli anni 70/80 si svolgeva il più importante torneo amatoriale di calcio del territorio. Centinaia di ragazzi hanno calcato per anni un campo che di regolare non aveva niente, fatto di roccia e creta rossa, senza docce e come spogliatoio un bosco di pini o le auto, ma sul quale tante generazioni sono cresciute, sportivamente e socialmente, spiccando il volo verso campionati più blasonati. Superata la Caserma dopo qualche curva arriviamo al Tiro a segno. Anche questo posto, che imperterrito resiste all’ingiuria del tempo, è magico, e rievoca molteplici ricordi, soprattutto per tanti ragazzi che marinando la scuola vi hanno trascorso ore libere e spensierate. Prima di incamminarci verso la chiesetta approfittiamo per fare un breafing per dare le giuste informazioni sugli aspetti naturalistici, culturali, storici, architettonici che riveste l’escursione odierna ma soprattutto è l’occasione per ricordare un amico che non è più con noi e a cui abbiamo voluto dedicare la giornata odierna, Mimmo Filomia. Un amico prima che un socio, già Past President della Sezione, che ha dedicato tanta attenzione, passione e partecipazione alla Sezione di Castrovillari, facendola crescere in qualità e quantità e lasciando un segno indelebile in tutti coloro che lo hanno conosciuto. Ma soprattutto egli amava tantissimo questa escursione e nel corso degli anni è stato sempre artefice e partecipe, ha curato anno dopo anno il suo percorso e ha contribuito a sistemare l’interno della chiesetta cosi come il pannello informativo su Monte S. Angelo. Una tradizione che resiste grazie anche al suo determinante contributo. Il gruppo è coeso e in men che non si dica raggiunge, senza tentennamenti, la Chiesetta della Madonna del Riposo dove sull’altare sistemiamo il quadro della Madonna che consente ai presenti la declamazione del Santo Rosario. L’escursione per molti continua fino alla vetta di Monte S. Angelo e dopo le foto di rito si rientra alla chiesetta dove gli zaini si svuotano lasciando uscire prelibatezze nostrane, sia salate che dolci, con qualche intromissione pugliese molto gradita ed apprezzata. E’ un momento unico dove ognuno dei presenti contento e soddisfatto di essere in un luogo meraviglioso condivide non solo la gioia di assaporare i cibi ma anche le modalità della lavorazione richiamando alla memoria fatti e persone, poi, volgendo lo sguardo verso la Città e il pianoro sottostante, sembra di udire ancora le voci, i canti, i suoni e i balli di chi prima di noi, vuoi per devozione, vuoi per divertimento ha frequentato felicemente questi luoghi.

Sabato 12 Aprile 2025: Alba sul Dolcedorme di Antonio Bono

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Sabato 12 Aprile, ore 00.15, Hotel Regina, Campotenese: silenzio. Le luci spente della hall, così come quelle dei vicini locali, non lasciano dubbi: qui la giornata è finita già da un po’ e ci si riposa aspettando il week-end. Ma ogni norma ha la sua eccezione degna di nota: alla spicciolata una decina di auto si fermano vicine. La strada deserta viene promossa a piazza e il brusio delle voci assieme alle risate fanno riaccendere le luci della Baita che ci accoglie con caffè caldi, assai apprezzati. Appello dei presenti e si parte alla volta del solito colle Impiso con meno auto, più compatti ed efficienti. Una volta scesi, Mimmo ci prospetta le tappe principali di questa uscita conclusiva del ciclo alpinistico in programma alle nostre latitudini: alba sulla cima dell’appennino meridionale, il Dolcedorme. Un rapido controllo all’attrezzatura, zaini in ordine e si parte: sono le 01:15 quando una frotta di luci inizia ad avanzare lungo lo stretto tratto iniziale del sentiero 920 che ci porta ai piani di Vacquarro alti. Qui la vista si apre e per la prima volta entriamo in contatto con il paesaggio lunare in cui saremo immersi tutta la notte: il Pollino ci mostra la sua bellissima parete Nord-Ovest illuminata dalla fredda luce della luna piena. E’ un alternarsi di toni di blu in cui i grandi pini loricati tagliano il confine tra cielo e neve. Questo è lo spettacolo che ammiriamo mentre ci prepariamo alla lunga salita nel bosco di Chiaromonte. Con qualche strato in meno, formiamo una lunga fila che, passo dopo passo, paziente guadagna metri di altitudine. E’ una gita di piacere la nostra ma il clima tra i partecipanti assomiglia di più a quello di un pellegrinaggio: siamo silenziosi, concentrati, assorti dalla luce lunare che tra gli alberi crea ombre cangianti, vive sulla neve chiara. Usciamo da queste tenebrose carezze solo grazie alla apertura dei piani di Toscano. Qui l’occhio è colpito dalla luce riflessa dalla poca neve rimasta sui piani e su quella invece abbondante che ancora ricopre la parete nord del Pollino. Facciamo una piccola pausa mentre Claudia ricompatta il gruppo e Mimmo ci avverte del repentino cambio di temperature che ci aspetta. Questo, però, quasi non lo sentiamo mentre camminiamo in un paesaggio familiare ma diverso. Le mille sfumature di blu ridisegnano nella nostra memoria il cuore del parco: dai piani di Pollino alla grande frana, da Serra delle Ciavole al Varco del Malavento fino ad arrivare allo stupendo giardino di roccia e pini loricati che adorna il Varco di Pollino e rappresenta per noi la porta di accesso alla parete nord del Dolcedorme. E’ qui che vestiamo i panni dell’alpinista: ramponi ben allacciati e picca in mano per risalire una parete Nord con neve trasformata dura che ci regala sì un buon sostegno ma richiede anche attenzione a ogni passo. Una lunga e ordinata fila di luci che l’aprifila Mimmo riesce ad immortalare col suo buon occhio fotografico. E così, i primi bagliori dell’alba ci colgono quando arriviamo finalmente sulla cresta del monte che ci porterà comodamente fino in cima. Le torce si spengono adesso davanti a uno spettacolo che ognuno di noi custodirà come un gioiello prezioso: ad Est l’alba che inizia a rosseggiare sullo Ionio, ad Ovest la luna che tramonta tra le nuvole e i monti. Un ciclo antico che si ripete inesorabile e indifferente alle vicende umane. Esattamente l’opposto di come ci sentiamo noi in quei momenti: arriviamo in cima tra abbracci e sorrisi complici che tentiamo di riportare nelle foto. Ed è proprio questa vetta fisica ed emotiva il palcoscenico ideale per ringraziare una delle persone che hanno scritto la storia dell’alpinismo meridionale, l’organizzatore odierno, Mimmo Ippolito. Un piccolo simbolo, la spilla del Club Alpino Italiano, per ricordare un legame che dura da più di venticinque anni. Avremmo voluto apprezzare con più calma quei momenti ma l’indifferenza della montagna col suo vento freddo e forte non ce lo ha permesso. Coi cuori caldi ma i visi freddi, intraprendiamo quindi la lenta discesa che si conclude sul pianoro dove inizia la cresta Est del Pollino. E’ tempo per una meritatissima colazione che tutti consumiamo baciati da un sole mattutino: sono ormai le 08:00. Per molti di noi sono passate più di ventiquattro ore senza sonno ma nessuno rifiuta quando Mimmo propone di non accontentarsi e risalire la cresta fino alla vetta del Pollino per regalarci altri scorci. E così è stato: adesso la piana è illuminata con colori caldi e rilassanti e il Dolcedorme è bianco, splendido e maestoso. Siamo paghi, ormai, ma come ad ogni banchetto che si rispetti c’è il conto da pagare: il nostro è una discesa dal valangone con neve ghiacciata dura che prova le nostre caviglie e le nostre ginocchia. Un buon allenamento per i meno esperti che dura fino al Piano Gaudolino. Qui riponiamo i nostri nobili attrezzi alpini e ci carichiamo della sempre fredda acqua della sorgente Spezzavummola e tanta pazienza necessaria per affrontare la fatica mentale e fisica che ci accompagnerà fino all’agognato bar di Piano Ruggio. Qui, in ambiente e tra prodotti enogastronomici nostrani, si svolge un vero e proprio convivio di romana memoria: Pasquale ricorda alcune delle tante storie di fratellanza e passione per la montagna condivise col suo pupillo Mimmo; Paolo consegna una targa ricordo della Sezione di Castrovillari allo stesso questa volta potendo esprimere a voce alta l’apprezzamento condiviso da tutti i soci presenti; e, infine, Mimmo, non poco emozionato, dopo i sentiti ringraziamenti ci saluta con un consiglio da buon maestro: lui, come gli altri organizzatori, possono solo mostrare qual è la via. Tocca poi a ciascuno di noi continuare a percorrerla in coscienza e autonomia al meglio delle sue possibilità. La libertà di vivere la montagna è una conquista necessariamente personale ma, per fortuna, non solitaria: a quella tavola lo avevamo capito tutti.

6 aprile 2025: Masseria Francomano > Italus > Serra delle Ciavole di Walter Bellizzi

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“Le Montagne - crescono inosservate -

Le loro Purpuree figure s'innalzano

Senza sforzo - Spossatezza -

Assistenza - o Applauso -

Nei loro Volti Eterni

Il Sole - con aperta letizia

Pregusta una lunga - ed estrema - e dorata -

Compagnia - per la notte.”

Emily Dickinson

La nostra escursione inizia alle ore 9:00 dalla Masseria Francomano nei pressi di Colle Marcione. La giornata è soleggiata e ci incita ad incamminarci con passo veloce sul sentiero che ci conduce alla Fonte del Principe. La Fonte è un inno all’acqua. Dalle sue sei bocche sgorga rigogliosa, pura e abbondante un’acqua gelida, una sosta per riprendere fiato, arricchire con stupende fotografie il nostro album con luoghi ameni che serberemo sempre nella nostra memoria. Riprendiamo a camminare inoltrandoci lungo il sentiero n. 942 che dolcemente ci porta alla Sorgente del Vascello. Lungo il percorso incontriamo un enorme masso di natura calcarea-dolomitica di origine sedimentaria, generatosi circa 200 milioni di anni fa nel Triassico, di perfetto parallelepipedo, identificato dai locali come la “Tavola dei Briganti” e circondato da suggestive leggende di tesori nascosti. Giungiamo alla Sorgente del Vascello per riprendere fiato e rifornirci di acqua, da cui fluisce copiosa e argentea su cui i raggi del sole, giocando con le gocce, creano luminosi riflessi iridescenti. Rimessi gli zaini sulle spalle saliamo al Piano di Fossa. Là giunti ci imbattiamo in una mandria di cavalli che pascolano tranquilli nel prato coperto di crochi, scille e primule. Anche qui a circa 1600 m di quota la primavera avanza. Iniziamo il tratto più ripido e duro “La Scaletta” col sentiero ancora ricoperto in alcuni tratti dalla neve. Prima di giungere al Varco del Pollino pieghiamo verso destra e raggiungiamo un pianoro dove gli scatti fotografici si moltiplicano. Francesco, l’organizzatore, ci sollecita a proseguire e riprendere il sentiero per salire su Serra delle Ciavole in direzione di “Italus”. Poco dopo, sul crinale a quota 1900 m, esclamiamo: “Quello è Italus!”. Davanti a noi si erge una bianca nuda scultura arborea, con rami possenti protesi al vento, proditoriamente abbarbicata sulla grigia roccia di calcare! Italus è l’albero più antico d’Europa, con i suoi 1.230 anni, si trova in Calabria ed è un Pino loricato (Pinus heldreichii). Questo paleo albero deve il suo nome a Italo, re degli Enotri, popolo che abitava la Calabria prima della colonizzazione greca. Anche le sue misure sono degne di un albero monumentale: oltre 10 metri in altezza e 160 centimetri di diametro. Da Italo ha preso nome l’Italia. Il Parco del Pollino, riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, rappresenta un ottimo rifugio dagli effetti del cambiamento climatico. Una piccola oasi in cui alberi come Italus possono trovare condizioni tali da poter sopravvivere e addirittura riprendere a crescere in età avanzata. Davanti a noi si erge il Dolcedorme avvolto da un manto di neve. Lo sguardo si volge verso la Manfriana. Un gruppo di 10 escursionisti prosegue verso la vetta Serra delle Ciavole. Ci si inerpica tra rocce e canalini di neve. Finalmente raggiungiamo la vetta. Uno profondo strato di neve avvolge la cima. I nostri passi sono le prime orme sul manto di neve. L’allegria appare nei nostri volti. Ammiriamo in silenzio le vette più alte del Parco avvolte in un tripudio di sole e di neve: Serra del Prete, il Pollino, il Dolcedorme, la Manfriana e giù giù fino all’azzurro Mar Ionio. Riprendiamo a malincuore la discesa anche perché nere nuvole si addensano a Nord-Est. Raggiungiamo di nuovo Italus e finalmente ci incamminiamo a passo veloce per riprendere il gruppo che è rimasto ad attenderci. Ma loro sono avanti a noi di una buona mezz’ora. Ormai siamo in prossimità delle auto e con poche gocce di pioggia diamo l’addio a questa splendida e appagante escursione. Ringrazio tutti i partecipanti ma in modo particolare Francesco, Pino e Giuseppe.

6 aprile 2025: Giornata di prevenzione dell’osteoporosi di Gaetano Cersosimo

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Il CAI Castrovillari ha voluto dare una svolta diversa alla giornata di oggi rispetto alle solite escursione domenicali. Infatti, proprio oggi si è tenuta una giornata particolare rivolta alla prevenzione sull’osteoporosi, svoltasi sullo scenario naturalistico in località Pantano di Mormanno. Il gruppo è stato sottoposto allo screening (MOC) dal dott. Domenico che ha fornito tutte le informazioni su questa patologia. Questo screening ha permesso di indagare l’invecchiamento dell’apparato scheletrico. Un grazie anche al fisioterapista Carmine che ha sensibilizzato tutti sull’importanza di prevenire e curare questa patologia con attività fisica regolamentare, alimentazione corretta e con un adeguato apporto di calcio e vitamina D. L’osteoporosi se sottovalutata determina un aumento della fragilità e del rischi di fratture. L’ attesa di ogni socio è stata caratterizzata da brevi passeggiate intorno al lago con ilk nostro socio Luigi, che ringraziamo per la sua collaborazione. Un’area che inizialmente era paludosa oggi divenuta un piccolo bacino d’acqua, lago artificiale, dove negli ultimi anni sono state effettuate gare di canottaggio. Il lago è circondato da cime che raggiungono i 1000 metri di altezza. Un piacevole pranzo in ristorante ha concluso una giornata interessante.

9 marzo 2025: La Via dei Lupi di Claudia Vitale

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La storia è questa: l’uscita del 9 marzo 2025 è stata una giornata che vale per molte altre. Vale per quei momenti in cui sembra di essere persi nelle abitudini quotidiane, per quando si cerca un senso e non sempre lo si trova. Quel giorno invece il senso era chiaro, nitido come il cielo azzurro che ci ha accolti all’alba, quando i primi passi sulla neve, risuonavano come un inizio solenne. Trenta persone, arrivate da ogni angolo d’Italia, con zaini carichi di aspettative e sorrisi pieni di fiducia. Trenta persone che hanno deciso di fidarsi, di mettersi in viaggio e salire, perché qualcuno aveva detto loro che ne sarebbe valsa la pena. E aveva ragione. La montagna non ha mai bisogno di parole per spiegarsi, è lì e basta. Ti guarda e aspetta, senza premura, ma con un patto silenzioso: se vuoi conoscerla, devi guadagnartela. E così abbiamo fatto, un piede dopo l’altro, alternando passi silenziosi a risate leggere. Il Pollino si è mostrato con il suo abito migliore: cielo limpido, creste che si stagliano nette, la vastità dei Piani da un lato e della Grande Frana dall’altro, che ti ricorda che sei piccolo, ma nel posto giusto. Due percorsi diversi, due modi (o forse trenta) distinti di affrontare la salita, due strade quasi parallele con lo stesso obiettivo. Era come se la montagna volesse mettere alla prova il nostro senso di appartenenza, separarci per poi restituirci alla cima. Un po’ come nella vita, quando ognuno sceglie il proprio passo, la propria via, ma poi ci si ritrova sempre nei punti che contano davvero. Ci siamo fidati l’uno dell’altro. Nei passaggi più delicati, nei momenti di fatica, quando la neve non teneva la lama delle nostre picche e il fiato si faceva corto. E, uno dopo l’altro, usciti dal Canale, ci siamo scambiati sguardi complici e sorrisi soddisfatti. E poi, all’improvviso, l’ultimo tratto verso la vetta. Non è stato solo un punto su una mappa o una roccia con un nome inciso: è la somma di tutte le decisioni che ci hanno portati fin lì. Di chi ci ha creduto, di chi ha organizzato, di chi ha seguito senza sapere esattamente perché, ma intuendo che ne sarebbe valsa la pena. E così, su quella cima, tra abbracci e sguardi complici, si è respirata una gratitudine silenziosa ma palpabile. Per chi ha reso possibile tutto questo, per la montagna che ci ha accolti e per noi stessi, perché a volte ci dimentichiamo di quanto possiamo essere capaci. La discesa è stata un’altra storia, fatta di passi più leggeri, della consapevolezza che avevamo vissuto qualcosa di grande, ancora una volta. E ancora una volta ne era valsa la pena, dei chilometri, della sveglia prima dell’alba, delle gambe dolenti. Domenica è stata una di quelle giornate che danno energia, che ti riempiono fino all’orlo e che sai già che torneranno alla mente quando servirà. E in fondo è proprio per questo che si torna sempre in montagna: perché ogni volta ci ricorda chi siamo, cosa possiamo essere e quanto bene possiamo stare.

23 febbraio 2025: “Anello Povera Mosca - Fiume Argentino” di Mariagrazia Moschetti

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Affrontare quasi tre ore di auto per fare una escursione programmata dal CAI di Castrovillari per molti è semplicemente improponibile e quasi da “folli” ma per i miei 4 compagni di avventura e per me è la certezza di raggiungere dei luoghi magici e trascorrere una giornata in compagnia di persone che condividono la nostra passione per le escursioni in montagna o comunque nei luoghi meravigliosi che i nostri territori ci offrono. Raggiunto il luogo di partenza, accolti da un tiepido sole e dall’entusiasmo nei volti dei partecipanti, dopo un piccolo briefing a cura degli organizzatori si comincia per un sentiero sterrato. Ecco, prima ancora di vederlo, lo senti gorgogliare, scorrere, frusciare, sbattere: è lui il fiume Argentino. Dicono che il rumore dell’acqua sia un rumore “rosa”, caratterizzato dalle basse frequenze e che induca rilassamento, ma non oggi; oggi per me è un rumore argenteo come le sue acque, rumore che ti scorre dentro e attraversa il tuo corpo portando energia e vita. Raggiungiamo la bellissima cascata della Ficara, scavata nella roccia. Si continua a camminare ammirando muschi, capelvenere e altre felci tra cui occhieggiano le prime primule a ricordarci che la primavera si avvicina. Il fiume tra le sue anse, i suoi massi e il suo veloce corso accompagna il nostro cammino lungo il quale incontriamo un giardino botanico dalle cui targhe apprendiamo i nomi degli alberi che ci circondano (cerri, faggi ecc). Dopo un piccola salita si raggiunge il valico di Castel San Noceto e pian piano torniamo verso le auto. Questa volta il sentiero in alcuni punti è scavato nella massiccia roccia già scolpita mirabilmente dalle acque. La giornata si conclude con un gioioso momento di convivialità a base di ciambella e crostata. Grazie CAI Castrovillari e grazie anche a colui che, affiancandosi a me nel cammino, ha condiviso il suo sapere facendomi conoscere po’ di storia di quei sentieri.

23 febbraio 2025: Via Highlander vetta di monte Papa e anello delle creste Imperatrice e Nord di Giuseppe De Luca

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“Le Sorelle” è l’appellativo dato alla serie di crestine intervallate da canalini gemelli che si trovano sul versante orientale della Costa dell’Imperatrice nel Massiccio del Sirino. Highlander ne percorre il canale più evidente, quello più a sud dove in un crescendo di pendenze fino a 60° raggiunge la cresta a quota 1820 m. Il nome piuttosto “inquietante” della via deriva da un episodio accaduto il 6 gennaio 2011. Dei tre alpinisti che tentarono l’ascesa, solo il pugliese Nino Gagliardi, riuscì a raggiungere la cresta. Ispirandosi a un celebre film di fantascienza degli anni '80, decise di chiamarla “Highlander - Ne rimarrà solo uno”, poiché gli altri due, a causa delle difficoltà fisiche e tecniche, dovettero rinunciare. Quello che il Gagliardi non sapeva era che, nell'inverno precedente, Fabio Limongi aveva già aperto la via e l’aveva anche percorsa in discesa con gli sci. Tuttavia, non avendo assegnato un nome, si è tramandato quello scelto da Gagliardi. In sede CAI ho voluto riproporre la stessa escursione di due anni fa perché in quell'occasione la partecipazione fu molto esigua, certamente non in linea con lo spirito coinvolgente che caratterizza la nostra sezione. Questo perché era coincisa con la giornata conclusiva del Carnevale di Castrovillari, un evento di grande rilievo culturale e di costume riconosciuto a livello nazionale. Le premesse per l’escursione stavano per venire meno, come lamentava l’amico Pasquale, coorganizzatore della gita: “Un altro inverno deludente. A fine febbraio le montagne dovrebbero essere ricoperte di neve”. Il cambiamento climatico che interessa ormai l’Appennino rende sempre più rare le nevicate, e le temperature risultano più miti anche nel cuore dell’inverno. Tuttavia, la provvidenziale ondata di freddo proveniente dal Nord, arrivata la settimana precedente, ha rinvigorito il manto nevoso alle quote medio-alte, rimettendo le carte in gioco. Così, in un frizzante mattino, ci ritroviamo allo svincolo autostradale di Frascineto in nove: otto affiliati al CAI di Castrovillari e uno della sezione di Reggio Calabria. Dopo aver ottimizzato l’impiego delle auto, ci avviamo verso Laudemio, la nostra località di partenza, che raggiungiamo dopo circa un'ora. Prima di arrivare, però, facciamo una sosta a Lauria Nord per recuperare Nicolò, del CAI di Castrovillari, e l'undicesimo membro del gruppo, Stephan, canadese trapiantato nella città dei Sassi, iscritto alla sezione di Matera, che avevo avuto il piacere di conoscere qualche anno fa durante un'escursione su Montea, funestata da un poderoso temporale. A Laudemio ci raggiungono anche i due amici del CAI di Salerno. Siamo un gruppo motivato di 13 persone, pronti a dare battaglia nel Massiccio del Sirino. Dopo un briefing preliminare finalizzato alle presentazioni e al fornire qualche breve informazione sul percorso, ci avviamo lungo la pista che costeggia i piloni della seggiovia. Il manto nevoso sembra ottimo, compatto e croccante sotto i nostri scarponi. L’itinerario si articolerà in tre fasi: l'ascensione lungo la via Highlander, la risalita della Cresta dell’Imperatrice fino a toccare le vette gemelle della De Lorenzo e Monte Papa, e infine la discesa lungo la cresta Nord. Superato il bosco, raggiungiamo l’attacco della via, dove formiamo due cordate da cinque persone e una da tre, cercando di bilanciare al meglio le forze e distribuire equamente i partecipanti. Decidiamo di procedere in conserva assicurata, ma per rendere la progressione più fluida, formiamo una catena di protezioni mobili lungo l’intera via, che le tre cordate useranno in successione. L'ultimo della terza cordata, “l’aspromontano” Pino, provvederà a rimuovere e recuperare le protezioni. La qualità della neve lungo la via non è delle migliori. Risulta però portante quanto basta, anche perché in questo punto la parete è esposta al sole che oggi, nonostante le temperature basse, picchia forte. Infine, a dispetto del nome della via, non uno solo ma tutti quanti, chi più disinvolto, chi un po'contratto, a colpi di piccozze vanno a chiudere questa estetica via di misto. Raggiunto il primo obiettivo, lo sguardo si apre sul grandioso anfiteatro racchiuso tra le creste dell’Imperatrice e la Nord. Ma l'escursione non finisce con l’ascesa della Highlander. Riposte corde e ferraglia negli zaini, ci prepariamo ad affrontare il maestoso Spallone dell’Imperatrice, che conduce in direzione della vetta De Lorenzo, a 2004 metri. Le condizioni in questo tratto sono superbe, e il piacere di sentire i ramponi mordere il manto nevoso, ghiacciato e duro come cemento, è ineguagliabile. Giungiamo così sulla cima di Monte Papa, a 2005 metri, mentre nuvoloni neri si addensano incupendo l’orizzonte. Dopo le tradizionali foto di gruppo in vetta, ci accingiamo a completare questo favoloso anello scendendo per l’estetica Cresta Nord, stretta e affilata in alcuni punti, ma che non richiede di procedere legati. Infine, tutti giungiamo soddisfatti al piazzale del lago Laudemio, dove ci concediamo un terzo tempo, un momento di sana convivialità con focaccia fresca, salsiccia prelibata e formaggio gustoso tirato fuori dallo zaino del socio Paolo, il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino. Se dovessi esprimere una personale impressione su questo comprensorio montuoso, devo ammettere che, nonostante non possieda la bellezza e la spettacolarità tipiche del Pollino, il Sirino è una delle montagne che più mi affascinano e che mi trasmette sensazioni di libertà e di vastità come poche altre. La cosa più importante è che tutti si sono divertiti e sono rimasti entusiasti per questa escursione. Il sorriso sui volti dei partecipanti rifletteva la piena soddisfazione per aver dato ciascuno il meglio di sé, dimostrando un notevole spirito di coesione e quell’affiatamento che occorre quando si affrontano ascensioni tecniche che richiedono un pizzico di coraggio e adrenalina in più. Un ringraziamento particolare va anche a Pasquale e Stefano, che mi hanno coadiuvato al meglio e contribuito in maniera determinante alla riuscita dell’escursione. Ciò dimostra ancora una volta come il CAI di Castrovillari sia sempre in prima linea nel promuovere e suscitare entusiasmo per attività come l’alpinismo, che non è più un sogno inafferrabile, soprattutto in un territorio, il nostro, dove un tempo il solo parlarne era pura utopia. "Avete presente quel microsecondo in cui il piede rimane sospeso mentre state facendo un passo in avanti? Ecco, quel microsecondo si chiama 'crisi'. Noi andiamo avanti per crisi. Senza crisi non c'è movimento. E senza movimento non c'è evoluzione......ed è bellissimo". (Ludovica Di Donato)

9 febbraio 2025: Canale Sud-Ovest di Serra delle Ciavole di Antonio Bono

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È buio, i timidi riflessi dell’alba non riescono ancora a vincere i lampioni accesi antistanti l’hotel Regina e i fari delle tante macchine che in una manciata di minuti si fermano a pochi metri di distanza. Si aprono sportelli, inizia un vociare, un salutarsi condito di sorrisi e abbracci. La convivialità, però, non vince la frenesia che accompagna le occasioni importanti: dopo più di dieci anni il CAI Castrovillari ritorna sul canale sud-ovest di Serra delle Ciavole. Eugenio dà il là e dopo pochi minuti la carovana arriva a Colle Impiso. Nemmeno il tempo di mettere lo zaino in spalla e dobbiamo sfoderare gli artigli: il sentiero 920 inizia con neve trasformata molto dura, meglio farsi aiutare dai ramponi nello stretto tratto in discesa. Appena riusciamo a non dover guardare fisso a terra, il parco ci dà il suo benvenuto con una delle sue vedute più belle: la parete Ovest del Pollino innevato ammirata dai piani di Vacquarro. Dalla faggeta, con un profilo quasi perfettamente triangolare, il monte si erge con un vestito bianco che fa risaltare benissimo i secolari pini loricati che lo adornano. Non vogliamo distaccarci subito da questa vista e allora il buon Gianmarco ci chiama in cerchio a raccolta., Carla, la Presidente, saluta finalmente alla luce del sole i tanti amici che hanno fatto tanto per esserci: la sezione di Reggio Calabria, di Palermo, di Catania e di Messina col suo presidente Angelo. Siamo quasi trenta persone attente e concentrate quando subito dopo Gian fa il punto sulle bellezze e le difficoltà che il percorso ci sta per porre davanti. Qualche foto di rito, un sorso d’acqua e via gli strati di troppo: inizia la salita. Dopo il solito attraversamento sul torrente Frido, ci rendiamo conto la neve continua ad essere molto compatta, probabilmente anche grazie alle piogge dei giorni precedenti. Non dispiace a nessuno, la salita del bosco di Chiaromonte con neve morbida può essere assai costosa. Ci accaldiamo, sudiamo, scambiamo ogni salita per l’ultima ma non ci fermiamo, sappiamo quale sarà la ricompensa: il cuore del parco, i piani di Toscano. Da questo mare bianco baciato dal sole si ergono alcuni dei giganti del massiccio. Il Pollino, il più vicino, ci mostra la sua maestosa parete Nord-Ovest. Iniziamo ad ammirare le cornici, la grande frana, e Gian ci aiuta a riconoscere alcuni dei canali e delle vie più celebri del parco. Tenendo alla nostra sinistra i piani di Pollino, ad ogni passo il panorama si allarga e Serra Delle Ciavole ci fa vedere sempre meglio una lingua di neve in un vero e proprio bosco di pini loricati: è la nostra meta, il canale Sud-Ovest risalito per la prima volta nel 2009 da Massimo e Franco. Arrivati alla base del cono di accesso, mentre ci attrezziamo alla salita, passiamo dalla contemplazione alla concentrazione: saranno 200 metri di vertiginosa bellezza. Spezzato il fiato con la risalita di un piccolo tratto di faggeta, bussiamo con le piccozze alla porta del canale: un saltino di roccia che non si fa apprezzare in pieno data l’assenza di neve. Da lì, iniziamo a risalire il pendio, ognuno col suo stile, coi suoi modi. Le soste sono obbligatorie ma non solo per la fatica: davanti a noi lo spettacolo del parco e del canale scavato tra le rocce traboccanti di pini è clamoroso. Da sinistra a destra abbiamo una vista nitidissima di tutto il versante calabro del massiccio: partendo dalla Manfriana con la sua sella, passando per il grande Dolcedorme, il Pollino, fino a Serra del Prete. E così, estasiati e affiatati, a piccoli passi arriviamo prima sulla panoramica cresta Ovest e dopo pochi minuti davanti la montagnola di pietre che indica la vetta della cima meridionale. Sorrisi, pacche, abbracci: siamo tutti consapevoli di cosa abbiamo condiviso e cosa non dimenticheremo. Giusto il tempo di qualche foto con lo Ionio sullo sfondo, e il parco cala il sipario: iniziano a risalire delle nubi per il gran calore della mattinata. Sbirciamo il versante Sud della serra per ammirarne i suoi canali come fosse il bicchiere della staffa e ci ributtiamo giù nel mare dei piani, ora meno scintillanti e più ostici. La fatica sarà la nostra compagna fissa per le ultime tre ore di rientro. Ci lascerà solamente nella saletta dell’hotel Regina: questo è lo spazio delle tante prelibatezze gastronomiche e il tempo della convivialità. È un ristoro fisico e psichico che sigilla la nostra unione, chiude la lunga giornata ma schiude l’intimo, profondo desiderio di nuove esperienze, di nuovo insieme.

2 febbraio 2025: Conserva di Lauria > Lago Laudemio di Eugenio Iannelli

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Purtroppo le previsioni meteo condizionano tutta la nostra vita quotidiana e le nostre attività ludiche, anche quando non ce n’è strettamente bisogno. Ovvero quando, facendo salve le condizioni di sicurezza, non si esce se non c’è “sole a catinelle” come recita il titolo di un famoso film di Checco Zalone. Purtroppo questo oggi impregna e condiziona le decisione della maggior parte dei frequentatori delle montagne, soprattutto quelle nostrane, e diciamolo, molti dei nostri soci, dimenticando che la montagna, la natura, l’ambiente offrono sempre e comunque uno spettacolo meraviglioso con qualsiasi tempo esse si ammantino. Anzi qualche “cultore” afferma che quando la giornata è troppo bella, assolatissima, è si godibile ma offusca, come nell’obiettivo di una macchina fotografica, quelli che sono i particolari, i dettagli, i contorni di quello che ci circonda. Aggiungo, da accompagnatore di escursionismo, che trasmettere l’idea che si va in montagna solo quando c’è il sole non educa verso quella cultura dell’andare in montagna in sicurezza e può essere forviante soprattutto quando è risaputo che in montagna il tempo può cambiare repentinamente e cosi facendo non si consente di fare la necessaria esperienza per affrontare situazioni ambientali diverse in contesti diversi. Comunque, tornando a bomba, era la prima escursione con le racchette da neve del nuovo anno e, purtroppo, le condizioni nivologiche del nostro Pollino ci hanno costretto ad emigrare nel vicino lagonegrese. Arriviamo a Conserva di Lauria abbastanza presto e ci siamo solo noi. Inforchiamo le racchette, che non toglieremo mai nel corso della giornata, e con un manto nevoso duro e compatto ci avviamo sulla pista di discesa ormai in disuso. La pendenza non è eccessiva quindi arriviamo, in breve, al colle che separa Conserva dal Lago Laudemio e dalla conca su cui dominano il Monte Sirino e il Monte Papa. Scendiamo verso il lago che si presenta completamente ghiacciato e si fa ammirare in tutta la sua bellezza. Lo circumnavighiamo portandoci cosi al suo estremo opposto, da qui saliamo per raggiungere quello che una volta era l’intermedio della seggiovia che portava in cima e per ammirare il lago dall’alto. Breve chiacchierata con operatori e tecnici del Soccorso Alpino di Bari presenti in zona per una esercitazione e rientro verso Conserva. Arrivati alle auto, annotando con piacere che la zona nel frattempo si è animata con l’arrivo di decine di turisti, ci portiamo presso il rifugio dove, grazie all’ospitalità dei gestori, consumiamo il nostro pranzo al sacco in un ambiente comodo e confortevole.

26 gennaio 2025: Alpinistica su Timpa Scazzariddo di Nicolò Abritta

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La giornata cominciò prima dell’alba. L’uscita CAI, diretta al massiccio del Sirino, prese vita al punto di partenza, accolti dall’aria frizzante e da un caffè bollente. Non servivano molte parole: i volti raccontavano tutto, pieni di entusiasmo e di quella concentrazione che ogni uscita in montagna richiede. Il viaggio verso Timpa Scazzariddo si svolse in tranquillità, mentre fuori dai finestrini il paesaggio si colorava delle prime luci del giorno. La montagna si stagliava immensa e maestosa, promettendo una sfida entusiasmante. Una volta al parcheggio, ci si preparò con cura: scarponi ben allacciati, ramponi fissati, casco e piccozza pronti. L’atmosfera era carica di energia, con tanta voglia di fare. Dopo un rapido briefing, ci si divise in gruppi, ognuno diretto a uno dei tre itinerari. La salita cominciò nella faggeta, con il suono soffice della neve sotto i passi e il tintinnio ritmico degli attrezzi. La vegetazione lasciava filtrare la luce del mattino, e ogni passo conduceva sempre più vicino all’obiettivo. I tre canali offrivano sfide diverse, ciascuno con una propria personalità e caratteristiche uniche. Beatrice era un ottimo banco di prova per affinare la tecnica e prendere confidenza con l’equipaggiamento. Il suo percorso, sinuoso e mai banale, si snodava tra curve dolci e tratti più ripidi, portando a muoversi con precisione e sviluppando confidenza con la piccozza e i ramponi. Mittel-Road, invece, metteva alla prova chi aveva più esperienza: le sue pendenze decise esigevano tecnica, resistenza e attenzione, mentre la neve, compatta e a tratti ghiacciata, obbligava a scegliere con cura ogni movimento. Ogni passo su Mittel-Road diventava un piccolo trionfo personale. Infine, la Via del Canalone, lunga e imponente, rappresentava la sfida più complessa: le sue biforcazioni, i cambi di inclinazione e i tratti più esposti richiedevano un mix di intuito e tecnica. La salita qui era un dialogo costante con la montagna, un percorso che non regalava niente ma ripagava con un senso di conquista unico. La fatica cresceva insieme alla quota, ma anche il senso di conquista. A ogni metro superato, il panorama si apriva, regalando viste mozzafiato sulle creste circostanti. Raggiunta la vetta, a 1930 metri, il vento freddo e pungente sembrò quasi un premio. Lassù, il silenzio era totale, rotto solo dalle risate di chi condivideva quel momento unico. La cima non era solo un traguardo fisico, ma un simbolo: la dimostrazione che il lavoro di squadra e il rispetto per la montagna portano sempre a qualcosa di speciale. Dopo una breve pausa per ammirare il panorama e rifiatare, iniziò la discesa lungo la Cresta Est. La concentrazione non venne mai meno: ogni passo richiedeva attenzione, ma c’era anche una leggerezza nuova, un senso di soddisfazione che accompagnava ogni movimento. Arrivati al rifugio di Conserva, il pranzo condiviso fu un momento speciale. Tavoli improvvisati si riempirono di cibo e bevande portate da ognuno. Non era solo una pausa per ricaricare le energie, ma un’occasione per celebrare la giornata. Si raccontavano aneddoti, si condividevano risate e ci si ringraziava a vicenda per l’aiuto reciproco. La giornata aveva insegnato tanto. La montagna, con la sua imponenza e il suo silenzio, aveva ricordato quanto fosse importante la sicurezza, la preparazione e, soprattutto, il valore di affrontare insieme un’esperienza così intensa. Non si trattava solo di raggiungere una cima o di completare un itinerario: c’era qualcosa di più profondo, un legame che si creava nei passi condivisi, nella fatica e nella bellezza che ogni metro regalava. In cammino verso casa, stanchi ma soddisfatti, ognuno portava con sé qualcosa di prezioso. Non era solo il ricordo di una giornata perfetta, ma la consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande. La montagna non era stata solo un luogo da esplorare, ma una maestra silenziosa che aveva insegnato a rallentare, osservare e condividere.

26 gennaio 2025: Da Maierà a Cirella di Francesco Visca

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Presenti le sezioni di Verbicaro e Castrovillari e la sottosezione di Cerchiara, quest'ultima domenica di gennaio arriva dopo l'annullamento di alcuni appuntamenti in calendario: diventa quindi occasione per un'escursione dalle tante adesioni, al punto di dover mettere un punto alle iscrizioni... siamo oltre 50! Diretti nei piccoli borghi che fanno da estremo occidentale del Parco, Grisolia e Maierà, la prima avventura della giornata è organizzare il trasporto, con ritrovo a Santa Maria del Cedro per stiparci in meno auto possibili e poi spostarci su Grisolia: siamo bravi però, e in poco più di mezz'ora (tra spostamenti, parcheggi, manovre, riparcheggi, cambi, saluti, e presentazioni dei due presidenti) siamo pronti per la prima tappa della giornata. Accolti nel Municipio di Grisolia, chi vuole visita le sue segrete, si ascolta insieme qualche racconto storico sui due borghi, sul loro confine naturale dato dalla valle, e ci si gode intanto il primo affaccio a sud, dalla balconata, su questo quasi canyon in cui scorre il torrente Vaccuta, mentre qualcuno si immola per provare a organizzare la prima foto di gruppo di oggi. Fuori dal Comune il nostro lungo serpentone si svolge per un po' lungo le strade di Grisolia, prima di imboccare la discesa ripida, che costerà inizialmente a qualcuno un po' di sporco per il fango e qualche gimkana tra canne e arbusti, alle volte d'intralcio nonostante il lavoro in avanguardia di falcetto e accetta. Preziosa la presenza in testa, a sfalciare e raccontare, quella di "zio" Felice Lucchese, camminatore simbolo di questa parte di Calabria e di Pollino. Il sentiero è stretto, e si cammina lenti, ma è occasione per raccontarsi e aggiornarsi, tra presenze di soci da tutta la provincia, e anche dalla Puglia: le due o tre ore di viaggio di alcuni non hanno smorzato la voglia di ritrovarsi e passeggiare un po' insieme in tanta ricchezza e bellezza La valle dei mulini, e del torrente Vaccuta, conserva la storia di un ambiente cui in passato era rubato ogni angolo utile: se ripido, per i mulini, per sfruttare la forza delle acque veloci; se terrazzabile, per coltivare. E fa impressione, immaginare tanta vita e attività in un posto apparentemente così inospitale, di pareti a strapiombo, scenografiche, dominate da cornici di abitazioni sul limite da una parte e dall'altra, e con il Pellegrino più indietro a fare da sfondo con il suo canale innevato. Riprendiamo quota pian piano, verso Maierà, occasione per un'altra foto di gruppo nella piazza del museo del peperoncino, prima di invadere anche qui le strade strette, camminare nel fascino delle case incastonate nella roccia, e approfittare della chiesa per qualche goliardica scampanata all'esterno. I kilometri percorsi non sono tanti, ma le ore passano e qualcuno ha dovuto mettere la sveglia di notte: la fame inizia incontenibile a dettare i tempi, per cui è presto ora di ricompattare il gruppo e fare l'ultimo tratto di strada, su asfalto, ma tra magnifiche campagne di verdi uliveti, alla volta di Cirella. È tempo di consumare il pranzo a sacco, comodi, sotto un cielo piacevole caldo e celeste, riparati nell'ombra degli ulivi, ristorati da tutto quello che si tira fuori dagli zaini, di vini e liquori e dolci e salati, prima dell'ultima visita. Cirella è il terzo borgo della giornata, è ormai solo un insieme di ruderi, i resti dell'antico abitato, ma per chi come me (vergogna!) non c'è mai stato è di un fascino eccezionale, tra le mura diroccate del castello, delle chiese, le torri, con il contorno della costa poco più in basso, dell'isola che si prepara al tramonto. E ci prepariamo anche noi, ad andare via, che finire la giornata non sarà meno complesso della mattina, tra un pulmino che si carica un po' di autisti, si sposta su Grisolia, da cui le auto vuote muoveranno verso Cirella, per recuperare il gruppone e portare finalmente ognuno alla sua auto. In questo tempo qualcuno inizia la discesa a piedi, qualcuno si riposa nell'attesa, ci si saluta, promettendosi prossime gite insieme, e però qualcuno... qualcuno resta mezz'ora in più! Che non ci si è intesi bene e due macchine (e autisti) sono rimasti a Grisolia, per l'impazienza stanca e da ridere degli ultimi otto: che per fortuna c'è ancora il sole, e immersi nella bellezza tra i ruderi e il mare un po' di ritardo si accoglie senza problemi.